Il primo briefing investigativo tra i 6 esperti della sicurezza inviati da Kinshasa e le autorità locali si è tenuto ieri a Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, non lontano dal luogo in cui hanno trovato la morte lunedì scorso l’ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista del Programma alimentare mondiale, Mustapha Milambo, durante l’attacco di un gruppo armato non meglio precisato.

Più che chiarire quanto è successo sembra che si sia parlato di quanto non dovrebbe più succedere: agli operatori umanitari che si spostano nel nord-est della Repubblica democratica del Congo viene chiesta una maggiore «collaborazione» ai fini di una completa «tracciabilità» delle loro attività. Di fatto, una stretta generalizzata. Trasferito a Kinshasa il concetto è risuonato anche nelle raccomandazioni rivolte dal consigliere speciale della presidenza per la sicurezza, Francois Beya Wa Kasonga, ad alcuni dei rappresentanti stranieri accreditati presso la Rdc: il personale diplomatico che intenda lasciare la capitale per spostarsi all’interno del territorio nazionale d’ora in poi dovrà notificare la sua intenzione e i suoi itinerari con almeno una settimana di preavviso al ministero degli Interni e alle altre autorità competenti. Ma se queste dovessero ritenere necessaria la presenza di una scorta, saranno le singole ambasciate a doversela procurare.

Sulla questione del dispositivo di sicurezza che avrebbe dovuto proteggere l’ambasciatore italiano sulla RN2 tra Goma e Rutshuru, sia Roma che Kinshasa insistono: prevederlo era responsabilità del Programma alimentare mondiale che aveva organizzato la missione, quindi delle Nazioni unite. La zona, spiegava ieri il ministero degli Esteri italiano, era stata «classificata ad alto rischio dalla Farnesina anche sulla base delle valutazioni dell’ambasciatore Attanasio, il quale, come tutti i capo missione, aveva piena facoltà di decidere autonomamente dove e come muoversi all’interno della Repubblica Democratica del Congo».

L’Onu e i vertici della missione di stabilizzazione in Congo, Monusco, per ora non replicano. L’indagine avviata dal dipartimento per la Sicurezza delle Nazioni unite dovrebbe concludersi il 9 marzo. Nessuna reazione anche all’intervista rilasciata da Zakia Seddiki al Messaggero, in cui la moglie dell’ambasciatore Attanasio accusa: «Qualcuno che conosceva i suoi spostamenti lo ha venduto».