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Strega e Goncourt, indagine aperta sui premi letterari

Strega e Goncourt, indagine aperta sui premi letterari

Express La rubrica delle culture che fa il giro del mondo

Pubblicato più di un anno faEdizione del 27 aprile 2023

Per pura coincidenza il 21 aprile sono arrivati nelle librerie italiane e francesi due saggi in cui si esplora lo stesso terreno di indagine: Caccia allo Strega. Anatomia di un premio letterario di Gianluigi Simonetti, edito da nottetempo, e Station Goncourt. 120 ans de prix littéraires di Arnaud Viviant (La Fabrique).
Un caso, certo, ma non davvero casuale: se per il titolo di Simonetti è evidente la concomitanza con la fase di scrematura che porterà il 7 giugno a definire la cinquina finalista dello Strega (e giustamente Francesco Longo su Rivista Studio consiglia la lettura del libro ai giurati «amici della domenica», e non solo a loro, per contrastare «la promozione virale, le campagne del marketing e le bolle mediatiche»), per il testo di Viviant lo spunto è diverso, ma comunque contiguo. Non bisogna essere indovini per capire che la data di uscita è stata scelta in modo da cadere il giorno dell’apertura del Festival du Livre di Parigi, la più importante manifestazione editoriale francese, e di conseguenza la cassa di risonanza giusta per un libro che – come si dice – vuole «far discutere». (A dimostrazione della necessità, tipica dell’editoria contemporanea, di inserirsi in quel «sistema passante» di informazioni esterno al campo letterario propriamente detto, di cui Simonetti scrive nel primo capitolo di Caccia allo Strega e nel precedente La letteratura circostante).

Che Viviant non si limiti a ripercorrere asetticamente la storia del Goncourt, il più noto fra i premi francesi (e modello per quasi tutti i premi di altri paesi, Strega incluso), è chiaro già leggendo la scheda di presentazione: da un lato le tenzoni letterarie «costituiscono una modalità parallela di finanziamento della letteratura, manna dal cielo di un mecenatismo che vorrebbe essere ‘democratico’», dall’altro «costituiscono uno dei pilastri della cosiddetta Repubblica delle Lettere», al punto da poter essere viste come «un modello letterario della Repubblica francese» – che, noblesse oblige, «più di ogni altra al mondo si immagina letterata».
In questo contesto Viviant, psicoanalista oltre che saggista, paragona i numerosi premi letterari francesi a una fitta foresta in espansione – una foresta dove gli spazi oscuri non mancano (anche oltralpe, come da noi, spesso si parla di inciuci) ma che nel complesso rispecchia bene l’importanza che in Francia ancora oggi si attribuisce alla cultura. Ne sarebbero una testimonianza, fra l’altro, e Viviant lo ricorda in un’intervista a France Inter, i ritratti ufficiali dei presidenti, da Mitterrand giù giù fino a Macron, dove i grandi testi della letteratura francese appaiono in bella vista.

Se davvero la grandeur francese, mortificata in tanti settori, sopravviva nei premi letterari è da vedere. Di certo, rispetto all’epoca in cui il Goncourt è stato creato, nel 1903, molto è cambiato: fanno sorridere, per esempio, nel libro di Viviant, le polemiche seguite all’attribuzione del riconoscimento a Marcel Proust nel 1919. A suscitare le perplessità della stampa non furono i meriti indubbi del libro premiato, À l’ombre des jeunes filles en fleurs, ma lo stato sociale e l’età dell’autore: benestante e quarantottenne, Proust non corrispondeva al profilo del giovane scrittore povero che avevano in mente i Goncourt istituendo il premio. Dovette intervenire sulla Nouvelle Revue Française il critico Jacques Rivière: «Tra il giovane che, assimilando sapientemente una formula già stanca, riesce a darle un effimero lustro di novità, e lo scrittore che inizia a lavorare in tarda età, spinto dalla sola necessità di trascrivere la visione profondamente nuova e, se si osa dire, strana che ha delle cose, e in particolare del mondo interiore, qual è il vero ‘giovane’?».

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