A voler stilare una classifica delle più importanti invenzioni relative alla storia della stampa si potrebbe mettere sul podio il Sutra del Diamante del 868, il primo testo stampato con caratteri incisi su un blocco di legno che porti una data certa, e il Jikji buddista coreano del 1377, il più antico libro impresso a caratteri mobili, un secolo o quasi avanti la Bibbia di Gutenberg. Il curioso Guinness dei primati tipografici è reperibile all’interno di un agile volumetto uscito come coda al profluvio di saggi, cataloghi e pubblicazioni di ogni genere che nel biennio 2015-’16 ha accompagnato, come era giusto e inevitabile, le celebrazioni anniversarie della morte di Aldo Manuzio: Martin Davies, Neil Harris, Aldo Manuzio L’uomo, l’editore, il mito (Carocci editore «Frecce», pp. 206, € 18,00). Il titolo mette in fila le tre anime che vivificano questa raccolta e corrispondono ai tre saggi che la costituiscono. I primi due non sono nuovi: Davies si era cimentato da par suo sul significato dell’impresa editoriale aldina in occasione del precedente anniversario del 1994, inaugurato per celebrare la nascita della tipografia a Venezia. Qui ha voluto riprendere quelle pagine, per nulla invecchiate, aggiornandole bibliograficamente (un po’ a macchia di leopardo: sulla visita di Poliziano a Venezia, per il rilievo che ebbe, andava citato il compianto A. Daneloni, Per l’edizione critica delle note di viaggio del Poliziano, Messina, CISU, 2013) e proponendole come utile vademecum propedeutico ai due saggi successivi che portano invece la firma di Harris. Il lettore meno esperto troverà quanto occorre sapere sulla formazione culturale di Aldo, sul suo approdo a Venezia e sulla costituzione dell’impresa tipografica, sulla elaborazione di una strategia editoriale destinata a lasciare un segno indelebile nella storia del libro: dall’azzardo di un catalogo costituito inizialmente da soli titoli greci, alla virata sui classici latini in formato enchiridio e in carattere corsivo che gli permise di rimettere in piedi la periclitante situazione finanziaria dell’impresa (e in questo ebbe un ruolo decisivo il suocero e avveduto tipografo Andrea Torresani), alla promozione dei classici in volgare sotto la guida del giovane ma già formidabile Pietro Bembo. Fino ai rapporti, difficili, con il mercato del libro e con acquirenti sempre pronti a esigere trattamenti di favore o a richiedere sconti per libri che apparivano decisamente più costosi rispetto a quelli in circolazione altrove.
Quello del libro come impresa commerciale è argomento meno battuto, il che spiega la presenza dei due saggi di Harris a impegnare la parte più cospicua del volumetto. Nel primo lo studioso mette scrupolosamente in fila le innovazioni che, vere o frutto del successivo processo di mitopoiesi, vengono comunemente ascritte al genio di Aldo. Alcune sono ben note: l’invenzione del carattere corsivo, per cui si avvalse della collaborazione dell’incisore Francesco Griffo; l’introduzione dei numeri di pagina (un solo precedente tedesco, senza seguito) e dell’indice finale, nati per facilitare la consultazione di indigesti repertori lessicali come si presentava, ad esempio, la Cornucopia di Niccolò Perotti (fluviale commento a Marziale in forma di lessico); l’adozione di un diverso modulo del foglio di stampa che consentì un formato in 8° più stretto e maneggevole; l’invenzione del sistema paragrafematico, ispirato alle consuetudini interpuntive del greco, con virgola, punto e virgola, e anche una piccola o soprascritta ai vocativi latini a scopo distintivo (per la storia di questo curioso segno di interpunzione posso aggiungere che, stando alla testimonianza di Angelo Decembrio, esso era prescritto quasi un secolo prima dal grammatico Guarino Veronese, allora docente a Ferarra; e a Ferrara Aldo Manuzio sarà allievo, negli anni Settanta, del figlio di Guarino, Battista). Le innovazioni ortografiche furono immediatamente percepite come tali già dai contemporanei di Aldo, tanto da venire puntualmente registrate e canonizzate anche in periferia, per esempio dall’oscuro notaio e umanista trevigiano Girolamo Bologni nella sua Orthographia, tra 1510 e ’15.
Le novità più interessanti si devono però al terzo contributo, sempre di Harris, dedicato ai cataloghi di vendita aldini: tre in tutto datati rispettivamente 1498, 1503 e 1513. Gli esemplari conservati stanno tutti sulle dita di una mano ed erano già noti. Questo genere di documenti, a stampa, è molto raro, ma il loro pregio aumenta per la presenza, in alcuni esemplari, di annotazioni manoscritte che integrano la lista dei volumi messi in vendita e riportano le indicazioni relative al loro prezzo. Nell’esemplare parigino del catalogo del 1498 (Paris, Bibliothèque Nationale, ms. Grec 3064; la seconda copia è conservata alla Österreichische Nationalbibliothek di Vienna) le annotazioni sono di mano dello stesso Aldo. Del catalogo del 1513, la copia conservata alla Biblioteca Civica V. Joppi di Udine esibisce integrazioni riconducibili alla mano dell’umanista bellunese Pierio Valeriano. Il catalogo è rilegato con un esemplare della Cornucopia del Perotti, anch’essa del 1513. I risguardi del volume sono formati da due bifolii in pergamena con atti notarili bellunesi datati al 1403. Non può trattarsi di una coincidenza e la scoperta è importante perché riconduce la circolazione dei libri a un ambiente umanistico prossimo al Manuzio. Lo zio del Valeriano, il grecista frate Urbano Bolzanio, era intimo dell’officina aldina, che nel 1498 ne stampò la prima grammatica greca in latino. E fu probabilmente lo zio Urbano a introdurre il Valeriano all’amicizia con personaggi del calibro di Marco Musuro, Girolamo Donà e Giano Lascaris, eruditissimi sodali e collaboratori del Manuzio. Valeriano si mosse tra il Veneto e Roma dove divenne personaggio di rilievo alla corte dei papi medicei: Leone X prima e Clemente VII poi. A Valeriano Pietro Bembo pensò di affidare l’educazione del proprio figlio Torquato per rimediare alla scarsa propensione agli studi del giovanotto: a quanto se ne sa Valeriano rifiutò. Valeriano integrò di sua mano il catalogo di vendita e appose le indicazioni di prezzo dei libri: le edizioni prezzate datano tra 1514 e 1518. Harris ipotizza che fossero annotate «sul finire del 1518, forse durante una visita a Venezia» dell’umanista (p. 111). Tuttavia prima del 1521 Valeriano non si mosse da Roma, dove insegnava presso lo Studium Urbis e dove nell’estate di quell’anno pubblicava presso Antonio Blado le sue annotazioni filologiche a Virgilio. Poco dopo lasciò la città. Documenti notarili lo intercettano a Belluno nell’estate del 1522. A settembre era probabilmente già passato a Venezia dove fece visita allo zio Urbano in compagnia di illustri umanisti: Leonico Tomeo, Niccolò Leoniceno e Daniele Renier. La discussione cadde sull’edizione dei Geroglifici di Horapollo stampata nel 1505 dal «nostro Aldo». È dunque possibile che le notazioni sul catalogo del 1513 risalgano a questo passaggio veneziano in cui Valeriano poté forse procurarsi un esemplare della Cornucopia e portare con sé a Roma una lista di libri da proporre ai colleghi della curia e dello Studium.
Un utile raffronto con i prezzi annotati sui cataloghi aldini può essere condotto ricorrendo al zornale di bottega del libraio Francesco de Madiis (anni 1484-’88). Mediamente, rispetto ad altre edizioni, le aldine e in particolare gli enchiridia esibiscono prezzi decisamente più alti, il che giustifica in parte le proteste degli acquirenti. I prezzi dei libri vengono parametrati sulla base dello stipendio annuale dell’umanista Urceo Codro, collaboratore di Aldo e professore all’università di Bologna fino al 1497: 47 ducati veneziani all’apice della carriera. Gli Adagia di Erasmo stampati nel 1508 costavano un ducato (pari a 6 lire e 4 soldi): per comprarseli Codro avrebbe dovuto lavorare, mediamente, una settimana. Senza spingersi fino a Bologna si poteva guardare alla vicina Padova: qui dal 1486 insegnava retorica presso lo Studio l’umanista bergamasco Giovanni Calfurnio. Nel 1502 Aldo gli dedicò l’edizione delle Historiae di Erodoto: per stamparle aveva ottenuto in prestito il manoscritto della sua biblioteca privata che contava oltre 230 volumi. Lo ripagò con una copia dell’edizione: l’anno successivo il Calfurnio morì colto da improvvisa paralisi; nella lista dei suoi libri figura un «Erodothus Alicarnaseus ad stampam». Doveva essere un buon professore se la oculata amministrazione Serenissima gli accordò progressivi aumenti di stipendio: nel 1490 percepiva ben 150 ducati annui. Queste cifre andranno corrette tenendo conto che il ducato ‘di studio’, cioè tassato, era pari solo a 5 lire: 100 soldi contro i 120 lordi dunque, che in un anno fanno una trattenuta di 25 ducati. Non è poco. Fosse Padova o Bologna, possiamo comunque sottoscrivere la conclusione di Harris: «collezionare aldine» era già allora «un’attività costosa».