La bocciatura da Strasburgo è arrivata mercoledì: la Corte Europea per i diritti umani ha rigettato la richiesta di rilascio mossa dai due insegnanti turchi, Semih Ozakca e Nuriye Gulmen, in sciopero della fame dal 10 marzo e poi arrestati dalle autorità di Ankara con l’accusa di essere membri del gruppo di estrema sinistra Dhkp-C (considerato organizzazione terrorista).

Secondo i giudici, la detenzione non è una minaccia alla vita dei due insegnanti che sopravvivono con acqua, sale e zucchero da quasi 150 giorni.

La loro battaglia è cominciata dopo il licenziamento, Ozakca dal suo posto di lavoro in una scuola primaria e Gulmen dall’università. Entrambi accusati – insieme ad altri 150mila dipendenti pubblici sospesi, cacciati o incarcerati – di sostegno al tentato golpe del 15 luglio 2016 o di legami con gruppi terroristici.

Vittime delle epurazioni di massa, hanno iniziato a rifiutare il cibo diventando presto un simbolo di quella fetta di società devastata dalle purghe.

Al momento sono ricoverati all’ospedale della prigione di massima sicurezza di Sincan, nella capitale. L’ultimo referto medico, del 28 luglio, parla di condizioni di salute gravissime.

Ma per la Corte Europea il carcere non c’entra: «La detenzione all’ospedale di Sincan non rappresenta un rischio reale e imminente di danni irreparabili alla loro vita – scrivono i giudici di Strasburgo – Per questo rigettiamo la richiesta di rilascio». I due possono solo essere visitati da medici indipendenti che poi informeranno la corte degli sviluppi.

Un punto a favore del presidente Erdogan, almeno sul piano politico, per l’uomo che sta distruggendo la società civile turca e zittendo ogni voce critica, oppositore o presunto tale.

Dal punto di vista simbolico, il rigetto dell’istanza di Nuriye e Semih ha un potenziale significativo all’interno, agli occhi di un’opinione pubblica che sa di trovarsi in una fase ancora più difficile dopo la vittoria (di misura e non senza accuse di brogli e impedimenti al voto nelle zone a maggioranza kurda) al referendum sulla riforma costituzionale.

La sentenza della Corte Europea giunge mentre alcuni siti indipendenti hanno riportato la notizia dell’ennesima morte dietro le sbarre: un ex capo di polizia, il 52enne Ahmet Tatar, è stato trovato senza vita in carcere, dove era detenuto per presunti legami con l’imam Gülen (considerato la mente del tentato putsch). Si tratta del 29esimo caso di morte di un prigioniero dal 15 luglio 2016