Strasburgo chiama e Varsavia non risponde. Nella giornata di martedì il parlamento Ue ha approvato una risoluzione non vincolante che mira a introdurre sanzioni contro Polonia dove sono in gioco le norme della democrazia e dello stato di diritto. A favore della risoluzione hanno votato 438 deputati contro 152.

«Da luglio scorso ho inviato almeno 4 inviti ai rappresentanti del governo polacco senza ottenere alcuna risposta», ha spiegato il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans giustificando così le misure adottate a Strasburgo. 

È lunga la lista degli organi istituzionali a rischio in Polonia: Tribunale costituzionale, tribunali ordinari ma anche Consiglio nazionale della magistratura e Corte suprema, questi ultimi ancora al riparo da cambiamenti dopo il doppio nie del presidente polacco Andrzej Duda ai provvedimenti votati a luglio scorso dai colleghi di partito al Sejm, la camera bassa del parlamento polacco.

Durante il dibattito in Parlamento il deputato europeo Janusz Lewandowski ha letto un frammento della lettera scritta da Piotr Szczesny, un cittadino polacco che si era dato dato fuoco il mese scorso di fronte al Palazzo della cultura a Varsavia per protestare contro le politiche del partito della destra populista Diritto e giustizia (PiS) al governo. «Mi vergogno ogni volta a dover spiegare ai miei amici occidentali che la Polonia non è la stessa cosa del governo polacco».

Sempre a Strasburgo la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Libe) si metterà presto al lavoro per stendere un rapporto che dovrebbe finire sul tavolo del Consiglio europeo nei prossimi mesi. Si tratta dell’ennesimo verdetto simbolico contro il governo della premier polacca Beata Szydlo (PiS).

L’anno scorso l’Europarlamento aveva preso una decisione simile sulla base del parere negativo della Commissione di Venezia alla riforma del Tribunale costituzionale voluta dal PiS. Ma per mettere davvero alle corde la formazione fondata dai fratelli Kaczynski sarebbe necessaria una risoluzione approvata dalla Commissione europea. In questo caso Bruxelles troverebbe sicuramente il veto dell’Ungheria di Viktor Orbán nell’applicazione dell’articolo 7 del Trattato di Lisbona che porterebbe alla sospensione dei diritti di voto della Polonia presso il Consiglio Ue.

Bruxelles potrebbe allora chiudere il rubinetto o almeno ridurre il flusso di fondi strutturali e di investimento europei in direzione di Varsavia. Un’ipotesi che potrebbe fare il gioco del PiS in casa alimentando sentimenti anti-europeisti dell’elettorato in vista delle elezioni regionali previste nel novembre 2018.