I numeri e il colore: oggi, sono questi due elementi che dovranno essere analizzati per capire il significato del voto del Parlamento europeo, che alle 18 è chiamato ad esprimersi sulla «proposta» del Consiglio per la presidenza della prossima Commissione europea. La candidata Ursula von der Leyen (Cdu) deve ottenere la maggioranza, cioè almeno 374 voti (4 in meno rispetto al 2014, perché i seggi occupati sono 747 invece di 751, mancano tre catalani e un danese diventato ministro e non ancora sostituito).

IL VOTO È IN SALITA. Se sarà positivo, si vedrà se tiene la triarchia che tenta di formarsi dopo le elezioni europee tra Ppe, S&D e Renew Europe. La base di questa intesa, se vincerà, sarà su una linea europeista. Se ci saranno voti di estrema destra, l’elezione cambia segno: von der Leyen ha incontrato il Cre (polacchi del Pis e Vox spagnola) ma non il gruppo Id (Lega e Rassemblement national), anche se la Lega non esclude il voto a favore .
Ursula von der Leyen resta una candidata debole in partenza, per la sua personalità politica e non solo perché è stata pescata nella riserva, dopo che era esploso il meccanismo dello Spitzenkandidat per mancanza di qualità del pretendente «automatico», il tedesco Manfred Weber, silurato da Emmanuel Macron e indifendibile per Angela Merkel. Von der Leyen ha cercato di allargare la maggioranza, ma i contatti con i Verdi (74 seggi) sono stati negativi e hanno deciso che voteranno contro, perché la candidata non ha le credenziali e non ha dato sufficienti garanzie per una Commissione che metta le questioni ambientali al primo posto. L’ancora ministra della Difesa tedesca si è persino piegata ad incontrare il gruppo della Gue, la sinistra (41 seggi), e anche qui è stato un fiasco. Ursula von der Leyen si è così concentrata sulla triade.

INTANTO, HA DATO per scontato di avere in tasca il voto dei 182 eurodeputati del Ppe. Ma ci sono delle faglie, i bulgari hanno insinuato che ci siano dubbi tra i democristiani, altri dicono che alcuni preferirebbero azzerare tutto e rimandare la scelta a settembre. Cosa faranno gli eurodeputati di Fidesz, «sospeso» dal Ppe? Orbán rassicura, ma resta il dubbio, il voto è segreto. Ursula von der Leyen ha risposto con due lettere alle richieste di social-democratici e liberali. Ha fatto promesse ad ampio raggio. Per S&D, che non ha ancora digerito l’esclusione dal top dei top jobs del proprio Spitzenkandidat, Frans Timmermans (sarà solo vice-presidente della Commissione), c’è il salario minimo in tutti i paesi (non lo stesso, evidentemente) e un meccanismo per un sussidio di disoccupazione solidale, a favore di paesi in crisi «asimmetrica» (per esempio, in caso di Brexit duro, l’Irlanda dovrà affrontare rischi di recessione e allora la Ue interverrà per finanziare i sussidi, evitando così al paese tagli dolorosi nella spesa sociale). Inoltre, un programma di investimenti più consistente del «piano Juncker», riforma della Politica agricola, flessibilità sui bilanci (anche se, quando parla dell’Italia, von der Leyen insiste sul debito eccessivo), norme di asilo politico comuni. Von der Leyen, anche se non ha convinto i Verdi, si è impegnata a ridurre del 50% le emissioni di Co2 entro il 2030 e di arrivare alla neutralità carbone nel 2050.

NEL GRUPPO S&D particolarmente ostili sono i tedeschi dell’Spd (16 seggi su 154), che però se voltano le spalle alla compatriota pupilla di Merkel rischiano effetti sul governo a Berlino: in un testo molto duro, hanno definito von der Leyen «una candidata inadeguata e inappropriata». I socialdemocratici tedeschi sono andati con la mano pesante, hanno ricordato il suo bilancio al ministero della Difesa, l’affaire delle consulenze, le accuse di plagio sulla tesi di dottorato e, in ultimo, non gradiscono di condividere l’appoggio di Orbán. Gli spagnoli del Psoe seguiranno Pedro Sanchez, che è favorevole a von der Leyen perché ha piazzato Josep Borrell come Mr. Pesc? La capogruppo, che è spagnola, sembra favorevole, come i danesi e i portoghesi, mentre oltre ai tedeschi restano ostili gli olandesi e i belgi. Britannici e italiani sono scettici.

A RENEW EUROPE, la candidata risponde favorevolmente alle esigenze sulla riduzione di Co2, ma è più vaga sul meccanismo di sanzioni nei confronti dei governi illiberali (anche se il socialista Timmermans resta attivo su questo fronte, ma von der Leyen non vuole scontentare troppo i paesi dell’Est che sono nel mirino). Non è chiara sull’eguaglianza di rango tra Timmermans e Margrete Vestager, esigenza di Renew Europe.
Nel 2014, Juncker era stato eletto con 422 voti. Oggi, meno di 400 voti sarebbero segno di grande debolezza. Sempre che il voto non venga rimandato, il Consiglio ha un mese per fare un’altra proposta, ma sarebbe una partenza confusa e critica per il nuovo ciclo Ue e potrebbe naufragare l’elezione della prima donna alla presidenza della Commissione.