Come un destino ineluttabile, una natura irredimibile, un malocchio degli avversari che si avvera, la prima scissione si abbatte sul giovanissimo movimento delle sardine, prova senza appello della loro appartenenza alla sinistra. Durante il wee erano state feroci le polemiche e le dissociazioni dalla foto – in posa – dei quattro fondatori a fianco di Luciano Benetton e Oliviero Toscani alla Fabrica di Treviso, la scuola dei creativi fondata dall’imprenditore oggi nell’occhio del ciclone per la vicenda Autostrade. Per calmare le acque non è bastata l’ammissione di essere stati «strumentalizzati» da parte del quartetto bolognese, la difesa della propria buona fede, l’ammissione della propria leggerezza nell’accettare un invito che a chiunque sarebbe apparso come un evidente trappolone.
Ieri Stephen Ogongo, il giovane afroitaliano autoproclamatosi portavoce delle sardine romane, celebre per aver «aperto» la piazza di San Giovanni a Casapound, annuncia lo strappo: l’incontro con Benetton «è un errore politico ingiustificabile». Ogongo sospetta i compagni, li accusa: «Affiancarsi agli squali, o diventare come loro, ci rende prede inconsapevoli». Ma per Ogongo questo è «solo l’ultimo degli errori» commessi negli ultimi tempi da Mattia Santori, Roberto Morotti, Giulia Trappoloni e Andrea Garreffa. L’attivista romano rivela «diversi tentativi di limitare la discussione all’interno dei gruppi facebook», «censura», «cancellazione di diversi commenti e post critici», il «controllo dall’alto delle comunicazioni tra noi e verso l’esterno teso ad assicurarsi che i quattro leader fondatori siano sempre messi in buona luce, anche a discapito di altri». Con conseguente «allontanamento volontario e forzato di soggetti che non condividevano più il modo di evolversi del movimento».

Per qualche ora lo sgomento viaggia su whatsapp, le chat impazziscono. Dall’esterno i telefoni squillano a vuoto. Alla fine arriva il comunicato della dissociazione dalla dissociazione. Le sardine romane mettono Ogongo fuori dal movimento: «I ragazzi del gruppo romano sono sconcertati ma uniti più che mai», scrivono in un sofferto post, «Le sardine di Roma si dissociano completamente da quanto scritto da Ogongo, che ha agito in solitaria ed esprime unicamente il suo pensiero». La controaccusa: lo strappo «arriva in un pomeriggio di un tiepido giorno di febbraio, dopo aver passato la mattina a rimuovere i moderatori del gruppo facebook Sardine di Roma, di cui era volutamente unico amministratore. Non si può combattere contro i pieni poteri di un solo uomo al comando quando in realtà è ciò che si vuole».

Una sardina non fa primavera, dunque questione chiusa? Difficile. La vicenda fa affiorare le tensioni del dopo voto emiliano in un movimento molto diverso nel territorio. E che talvolta era apparso come un marchio in franchising più che una vera onda nazionale. Lo si era visto anche in piazza a Roma, con le tensioni fra le sardine sul palco e alcune sotto, i giovani organizzati con la sigla «sardine nere», accompagnate da esponenti di Potere al popolo.

Ogongo, quarantacinquenne nato in Kenia e da venticinque anni in Italia, attivista dei diritti delle seconde generazioni, alla vigilia della manifestazione di Roma si è reso famoso per aver «aperto» alla destra nazionalista. Una scelta almeno altrettanto «inopportuna», annunciata a mezzo stampa – un’intervista al Fatto – poi smentita dai quattro fondatori e che lui stesso si è rimangiato ammettendo di essere stato «strumentalizzato» e «frainteso». Il suo errore era stato accolto con maggiore tolleranza di quanta oggi lui stesso abbia usato con il quartetto bolognesi. Ogongo annuncia «l’autonomia» dei romani, ma i romani replicano che parla solo per sé. Del resto lui si muove già da tempo in autonomia. La sua rete Cara Italia, che riunisce gli afroitaliani che rivendicano il sacrosanto diritto di voto, ha fra gli obiettivi «promuovere una classe dirigente meticcia», come ha spiegato in piazza proprio al manifesto. E autonomamente venerdì scorso Ogongo ha partecipato all’assemblea di Stefano Fassina e dell’ex 5s romana Cristina Grancio per l’avvio di un «percorso» alternativo al centrosinistra in vista delle prossime elezioni capitoline