Da tempo i toni usati sono quelli di un Paese che si sente in guerra. E non solo sui tabloid popolari, che un po’ per convinzione e un po’ per interessi di bottega soffiano sulla paura gridando contro gli immigrati, comunitari o extracomunitari che siano. Ma anche dal governo che ormai non passa giorno senza che un esponente levi grida di allarme perché non vengono fermati i migranti che dalla francese Calais cercano in tutti i modi di arrivare in Gran Bretagna. Anche a rischio della vita, come dimostrano le cronache di questi giorni. E così Londra è pronta adesso a combattere la sua battaglia contro gli ultimi del mondo schierando l’esercito in terra francese, in quella Coquelles da cui parte l’Eurotunnel come ieri invitava a fare la stampa popolare. E dal Vietnam, dove si trova in questi giorni in visita ufficiale, il premier David Cameron ha assicurato: «La Gran Bretagna non sarà un posto sicuro per i migranti».

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In attesa di capire se e dove il soldati di sua maestà verranno impiegati, si rafforzano le barriere. Parlando in parlamento il ministro degli Interni Theresa May ha annunciato lo stanziamento di 10 milioni di sterline per realizzare una nuova barriera che consenta la messa in sicurezza di un’area in cui far sostare e controllare i camion diretti oltre a Manica impedendo così ai migranti di salirci sopra. Una barriera lunga un chilometro e mezzo da costruire sempre a Coquelles, e che va ad aggiungersi a quelle inviate a giugno da Londra sempre in Francia per garantire l’area di imbarco dei Tir. «Dobbiamo proteggere i nostri confini lavorando fianco a fianco con i nostri vicini francesi, ed è quello che stiamo facendo», ha ribadito Cameron alla Bbc. Non senza tradirsi su cosa realmente pensi degli africani che vogliono arrivare in Gran Bretagna definendoli uno «sciame di migranti», neanche fossero insetti.
Ma per quanto odiose, le barriere potrebbero non essere lo strumento peggiore scelto da Downing Street. Anche se meno ossessionato di un tempo dalle politiche xenofobe dell’Ukip di Nigel Farage, pesantemente ridimensionato nelle elezioni di maggio, il governo ha scelto di adottare politiche sempre più restrittive nei confronti degli stranieri che cercano in futuro oltre la Manica. E poco importa se sono in fuga da una dittatura. Il ministro degli Interni si preparerebbe infatti a rivedere le procedure per la concessione dell’asilo politico agli eritrei, decisione maturata dopo una visita compiuta nel paese africano nel dicembre scorso.
A maggio invece il governo ha annunciato un piano che prevede il sequestro delle paghe dei migranti che lavorano in nero, ma anche espulsioni più facili, l’uso di braccialetti elettronici per controllare i migranti irregolari e il divieto per le agenzie interinali di assumere stranieri all’estero senza prima pubblicare l’annuncio di lavoro in patria. A giugno è arrivata invece la norma che obbliga i lavoratori extra-Ue regolari a guadagnare non meno di 35 mila sterline annue, pena l’espulsione dal Paese. La norma entrerà i vigore a partire dal prossimo anno, ma ha già allarmato il Royal College of Nursering, il sindacato del personale medico, secondo il quale potrebbe provocare il caos nel servizio sanitario nazionale visto che almeno 3.300 infermiere straniere potrebbero essere costrette a rientrare nei Paesi di origine entro il 2017. E secondo alcuni giornali inglesi il governo starebbe pensando di impedire agli studenti non comunitari iscritti nei college inglesi di richiedere il permesso di lavoro, un modo per contrastare quella che i conservatori definiscono «l’immigrazione mascherata».
Un giro di vite che non risparmia nessuno, neanche chi fa parte dell’Unione europea. Anzi. Se infatti le ultime statiche dicono che nel 2014 la popolazione britannica è aumentata di 491 mila unità, metà delle quali – 259 mila – sono di origine straniera, a preoccupare di più è il boom di arrivi fatto registrare da rumeni e bulgari. Un aumento record reso noto un mese fa dal Times secondo il quale da quando sono stati eliminati i limiti alla libera circolazione dei cittadini di questi due Paesi 152 mila rumeni e 40 mila bulgari hanno scelto di trasferirsi in Gran Bretagna, rispettivamente il 220 e il 120 per cento in più.
«La gente vuole venire da noi perché abbiamo creato molti posti di lavoro e perché la Gran Bretagna è un grande Paese dove vivere», ha spiegato ieri Cameron. Preparandosi, proprio per questo, ad alzare nuove barriere e a promulgare leggi sempre più restrittive verso gli stranieri. Perché come, ha spiegato bene, l’isola non deve essere un posto sicuro per i migranti.