Jouffroy affermò, a proposito di Pierre Klossowski (1905-2001), che «il pathos e la patologia costituiscono l’autentico terreno della creazione poetica e pittorica». Narratore, pittore, saggista dedito a frequenti incursioni in ambito speculativo, fratello del più famoso Balthus, Klossowski è stato uno dei grandi eretici del Novecento, con un percorso intellettuale simile a quello intrapreso dall’amico Bataille. Non è un caso che collaborasse alla rivista «Acéphale» e alla stesura di Il processo di Gilles de Rais dello stesso Bataille con il quale condivise la pionieristica ammirazione per le opere di Sade, definito «filosofo scellerato», e Nietzsche. A queste figure Klossowski dedicherà due studi capitali come Sade mon prochain (1947) e Nietzsche et le cercle vicieux (1969) che sembrano riassumere gli interessi dell’autore per un mondo radicale e trasgressivo che descriverà nelle pagine dei suoi romanzi e nei dipinti.
Allievo di Rilke e Gide, traduttore di Hölderlin, Kierkegaard, Nietzsche, Kafka, Benjamin, Wittgenstein, Heidegger, nonché dalle lingue classiche (Svetonio, l’Eneide), Klossowski aderì in gioventù al cattolicesimo, esperienza descritta nel suo romanzo d’esordio La vocation suspendue (1950). In seguito prese sempre più corpo l’inclinazione per quella philosophia sexualis che, sulla falsariga dell’opera batailliana, sembra rapportarsi a un pensiero che mette al centro dei propri interessi dissolutezza e aberrazione in contrapposizione al concetto di sacralità.
Dal pro al contro in modo poliziesco

Ha osservato Foucault: «Nell’opera di Klossowski, il regno dei simulacri obbedisce a regole ben precise. Il rovesciamento delle situazioni avviene in un istante e il passaggio dal pro al contro in modo quasi poliziesco (i buoni diventano cattivi, i morti rivivono, i rivali si rivelano complici, i carnefici sono sottili salvatori, gli incontri sono preparati da lungo tempo, le frasi più banali hanno un doppio senso). Ogni rovesciamento sembra trovarsi sul cammino di un’epifania, ma in realtà ogni scoperta rende più fitto l’enigma, moltiplica l’incertezza».
Queste parole potrebbero fungere da viatico alla pubblicazione del romanzo Il Bafometto, non a caso dedicato a Foucault, ora proposto da Adelphi nella nuova, valida traduzione di Giuseppe Girimonti Greco («Biblioteca», pp. 192, € 19,00). Uscito originariamente nel 1965 per il Mercure de France, il libro era stato tradotto l’anno successivo da Luciano De Maria per Sugar, editore che avrebbe accolto anche la trilogia Le leggi dell’ospitalità contenente i tre romanzi La revoca dell’editto di Nantes, Roberta stasera e Il suggeritore. Questi ultimi erano imperniati sulla figura di Roberta, alter ego della moglie, la cui presenza trasgressiva costituirà anche il modello per un importante ciclo di opere pittoriche (i titoli saranno ristampati nella «Biblioteca dell’Eros» dell’editore ES).
Il Bafometto è un libro visionario, straniante, allucinato, che descrive le vicissitudini di Ogier, adolescente che rappresenta l’immagine speculare di Roberta. Non per niente le caratteristiche di questo paggio così conteso sono quelle di un efebo e, come tale, l’inverosimiglianza della trama rende le vicende, ambientate durante la soppressione dell’ordine dei Templari da parte di Filippo il Bello nel 1307, quanto mai aleatorie, sfuggenti. Ogier rappresenta la figura in cui si incarnano sacro e profano, attrazione e repulsione, quello che Blanchot ha felicemente definito «miscuglio di austerità erotica e dissolutezza teologica», anche se non condivisibile è l’asserzione riguardante un supposto umorismo insito nell’opera di Klossowski. Si riscontra semmai il desiderio tragico di sottrarsi alle regole di ciò che è «umano, troppo umano», in cui flebili – o del tutto assenti – sono gli intenti parodistici, pur essendo presenti dissacrazione e iconoclastia.
L’etimologia del nome Bafometto, idolo adorato dai Templari, legato alla simbologia del Graal e dell’eterno femminino, ha origini oscure. Secondo alcuni studiosi deriverebbe da Maometto, secondo altri dal greco Baphé meteos che coniuga i termini «battesimo» e «iniziazione»; per Klossowski scaturirebbe dalla composizione delle parole «Basileus philosophorum metallicorum», con evidente riferimento alla tradizione gnostica e al processo alchemico. La trama del romanzo, incentrata sulle tentazioni dei Templari al cospetto della figura angelica e demoniaca di Ogier, è ondivaga, passando dal Medioevo al 1964, dove ritroviamo le stesse entità divenute «soffi» dopo la morte. Ma queste entità continuano a essere combattute, come in vita, da impulsi omoerotici e aspirazioni mistiche, quasi richiamandosi alla concezione dell’«eterno ritorno» teorizzata da Nietzsche. Sembra che l’usuale dimensione spazio-temporale sia stata abolita a favore di un’affabulazione dai tratti onirici che sembra recuperare suggestioni mitologiche o leggendarie. Si pensi al riferimento al mito di Diana e Atteone, investigato, attraverso il ciclo degli affreschi del Parmigianino a Fontanellato, in Le Bain de Diane (1980) e qui riecheggiato nel sogno di un templare, Lahire. Ma le prospettive risultano invertite, come denuncia ancora Foucault: «È questo il desiderio che la dea ha messo in cuore ad Atteone nel momento della metamorfosi e della morte: se puoi descrivere la nudità di Diana, sei padrone di farlo».
Grazie all’«immensa abolizione del tempo» rammentata da Jouffroy, la vicenda dei Templari si intreccia sorprendentemente a quella di Teresa d’Avila, con descrizioni particolareggiate che sembrano rifarsi all’immagine estatica della santa realizzata dal Bernini: «Con una mano l’angelo solleva lentamente il dardo, con l’altra scosta il velo della santa e con un sorriso pieno di tenerezza si compiace di averla mandata in estasi. (…) È stravolta, la sua interiorità si è tramutata in esteriorità, e le pieghe della sua anima si sono dispiegate nelle immobili volute del marmo: l’ineffabile lotta, che si legge negli occhi arrovesciati, affiora sulle labbra carnose; la felicità esala dalla sua disfatta: ecco al tempo stesso esaltato l’abisso in cui ella si dissolveva, ecco catturata la sua effusione sotto l’effigie unica del giovinetto celeste».
Il formichiere cavalcato da Ogier
In calce al libro figura un interessante contributo dello stesso autore, tratto da una lettera a un amico, in cui si cercano di chiarire alcuni aspetti oscuri di questo suo ultimo romanzo: la distinzione tra Bafometto e Anticristo, tra concetto gnostico di metempsicosi ed eterno ritorno nietzschiano ecc. Molto singolare l’apparizione del formichiere cavalcato da Ogier, incarnazione demoniaca che si contrappone al richiamo angelico dei Troni e delle Dominazioni filtrato dall’opera di Dionigi l’Areopagita.
Il Bafometto avrebbe dovuto avere una riduzione teatrale curata da Carmelo Bene, poi abolita, in occasione della Biennale veneziana del 1989-’90. Klossowski allestì una serie di illustrazioni a grandezza naturale, realizzate con la tecnica delle matite colorate. Il sodalizio fra i due artisti sfociò nei saggi di Klossowski intitolati Cosa mi suggerisce il gioco ludico di Carmelo Bene e Generoso fino al vizio. Molto importante è la nozione di «simulacro» con la quale si vuole dare nuovo impulso a una figurazione dai tratti inusuali, quasi puerili, in cui ha forte rilievo l’eros (Deleuze parlerà di «pornologia superiore»). Spesso si tratta del corrispettivo dell’opera letteraria che rivela la profonda ossessione di Klossowski per certe tematiche: perversione, voyeurismo, androginia, offerta sacrificale del corpo, rinvio a una mitologia efferata, dagli esiti conturbanti (si veda l’intenso saggio del 1968 Origines cultuelles et mythiques d’un certain comportement des dames romaines dove si approfondisce il motivo della prostituzione sacra). D’altronde lo stesso Klossowski così si presentava: «Non sono un romanziere né un filosofo né un artista, sono semplicemente un monomane».