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Stragi del 1993, Mori indagato un’altra volta

Stragi del 1993, Mori indagato un’altra volta

L'inchiesta La procura di Firenze ancora al lavoro sulle bombe di Cosa nostra. L'ex generale dei carabinieri è stato già assolto 5 volte

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 22 maggio 2024

Assolto per cinque volte dall’accusa di aver trattato con Cosa Nostra per fermare la stagione delle stragi, il generale Mario Mori si trova adesso indagato per il motivo opposto: non aver fatto abbastanza per impedire che avvenissero. Questa la convinzione della procura di Firenze, che a distanza di oltre 30 anni ancora indaga sulle bombe scoppiate nel 1993 a Milano, Firenze e Roma. Secondo i titolari dell’inchiesta, i pm Luca Turco e Luca Tescaroli, Mori era stato «informato, dapprima nell’agosto 1992, dal maresciallo Roberto Tempesta, del proposito di Cosa nostra, veicolatogli dalla fonte Paolo Bellini, di attentare al patrimonio storico, artistico e monumentale della nazione e, in particolare, alla torre di Pisa» e poi anche da un pentito, Angelo Siini, «durante il colloquio investigativo intercorso a Carinola il 25 giugno 1993, il quale gli aveva espressamente comunicato che vi sarebbero stati attentati al nord».
Mori, 85 anni, ex comandante del Ros ed ex direttore del Sisde, è stato convocato in procura a Firenze per giovedì, ma ha già comunicato che non potrà esserci per impegni del suo legale. Intanto, con una lunga lettera, respinge le accuse: «Certi inquirenti continuano a proporre altri teoremi, non paghi di 5 pronunce assolutorie e nemmeno della recente sentenza della Suprema Corte che, nell’aprile scorso, ha sconfessato radicalmente le loro tesi definendole “interpretazioni storiografiche”». E ancora: «La sentenza d’appello, nell’assolvermi, ha riconosciuto che la mia condotta “ebbe come finalità precipua ed anzi esclusiva quella di scongiurare il rischio di nuove stragi” e che avevo “effettivamente come obiettivo quello di porre un argine all’escalation in atto della violenza mafiosa”».
La Cassazione, nel chiudere una volta per tutta la romanzesca vicenda della cosiddetta trattativa tra stato e mafia, aveva sì riconosciuto la sua esistenza, ma aveva anche concluso che non era configurabile come reato: gli investigatori, in pratica, stavano solo cercando di fermare le stragi.

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