«Quanto sta accadendo è orrendo. Temo un’assuefazione nell’opinione pubblica quando ogni giorno c’è una strage di migranti. Alla stesso tempo cresce anche l’atrocità da parte di chi lascia questa gente a morire in un camion, come è successo in Austria. Non parlo solo dei grandi trafficanti internazionali, ma anche dei semplici camionisti che si fanno qualche decina di migliaia di euro extra con questi traffici. Da parte di questa gente c’è una brutalità che assomiglia a quella adottata dal Califfato». Christopher Hein è il direttore del Cir, il Consiglio nazionale per i rifugiati. «Partiamo dai numeri», dice. «Se vediamo la situazione in Italia e mettiamo a confronto il numero degli arrivi nei primi otto mesi del 2014 con quelli del primi otto mesi di quest’anno, il numero di quest’anno non è tanto più grande rispetto a un anno fa. Non c’è nessuna invasione».

Però è aumentato vertiginosamente il flusso sulla rotta dei Balcani.
Questo è dovuto principalmente a quanto accade in Siria. Una guerra civile produce sempre rifugiati ma in un primo momento, che può durare anche due, tre, quattro anni, il flusso si riversa sui Paesi vicini. In questo caso Giordania, Turchia, Libano e Iraq. Poi con il trascinarsi del tempo chi può fa il possibile per ritrovare una situazione di normalità. Che certamente non si trova nei campi profughi in Turchia, Libano e Giordania. E’ chiaro che i siriani avendo le isole greche più vicine preferiscano la rotta balcanica. La crisi che stiamo vivendo è una conseguenza della non soluzione del conflitto in Siria e all’aggravarsi della situazione nei Paesi di primo rifugio. A questo si aggiunge un conflitto relativamente più recente in nord Iraq. C’è poi un altro elemento, ed è la situazione interna alla Libia. Chi vede la possibilità di imbarcarsi verso le isole greche, o dall’Egitto verso la Calabria o la Puglia preferisce questa strada alla traversata del Mediterraneo e al modo atroce in cui vengono trattate le persone in Libia.
La Germania sembra aver cambiato la propria posizione e voler assumere, sotto la guida della cancelliera Merkel, un ruolo guida per una nuova politica europea sull’immigrazione.
Penso che nonostante alcuni episodi di razzismo, in Germania l’opinione pubblica tenda all’accettazione dei profughi. Non a caso il governo tedesco, che è formato da una grande coalizione della quale fa parte anche il partito socialdemocratico, ha sospeso il regolamento di Dublino per i siriani, una cosa abbastanza insolita nel contesto europeo.
Basterà per un cambio di rotta della politica europea sull’immigrazione?
In passato la Germania aveva una posizione molto diversa. Ho sulla scrivania una lettera scritta undici mesi fa dal ministro degli Interni tedesco Thomas de Maizière con un linguaggio totalmente diverso rispetto a quello di oggi: molto duro e di chiusura nei confronti dei migranti. Lettera condivisa anche da Francia, Gran Bretagna e Polonia in cui si parla solo della lotta contro i trafficanti, della necessità di applicare il regolamento di Dublino e di rafforzare la cooperazione con i Paesi terzi perché le persone rimangano là. Oggi non è più così, e parliamo dello stesso governo Quindi qualcosa si è mosso in questo periodo. Mi sembra chiaro. Se questo sia sufficiente o meno, per un orientamento diverso dell’Unione europea c’è molto da dubitarne, ma è un segnale
Bisogna arrivare a una normativa comune per i diritto di asilo?
Certamente, ho letto con piacere un’intervista al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni in cui parla della necessità del cosiddetto rifugiato europeo, quindi di un status uniforme in tutti gli stati membri e dove finalmente parla anche delle vie di accesso regolare nel territorio dell’Unione europea. Questo vuol dire che qualcosa si sta muovendo anche nel governo italiano. Finalmente le proposte avanzate in questi ultimi anni dalla società civile in Europa poco a poco si fanno strada anche nel linguaggio ufficiale della politica.