Gaetano D’Ambra, secondo ufficiale di coperta di Lipari; Christian Micalizzi, primo ufficiale di Messina; Santo Parisi, operaio di Terrasini, i tre marittimi morti sulla nave della Caronte & Tourist, ex Siremar, nel porto di Messina. Non avevano le tute, le maschere speciali e nemmeno gli strumenti necessari per gli interventi in «spazi confinati», come prevede la legge. I particolari sono emersi dopo l’intervento dei vigili del fuoco che hanno estratto i corpi.

LA PROCURA ha aperto un fascicolo per omicidio plurimo colposo e lesioni al momento contro ignoti. Dalle testimonianze raccolte dagli investigatori è emerso un altro elemento inquietante che, probabilmente, porterà a breve i magistrati a emettere i primi avvisi di garanzia. Nella camera della morte le vittime non dovevano proprio esserci. Nessuno di loro ricopriva il ruolo di pulizia. Un lavoro che non avrebbero dovuto effettuare .

D’AMBRA avrebbe aperto la sentina e sarebbe stato travolto dalle esalazioni del gas: un acido solfidrico residuo di nafta. Il veleno avrebbe ucciso Micalizzi appena arrivato nella pancia della nave ormeggiata da quattro mesi al molo Norimberga per lavori di manutenzione. La terza vittima dell’acido killer è Santo Parisi. Secondo le testimonianze raccolte, l’operaio di macchina Ferdinando Puccio avrebbe provato a soccorrere i suoi ufficiali, ma il veleno lo avrebbe stordito e soffocato anche lui: le sue condizioni sono gravissime.

A salvarlo sarebbe stato il comandante del Sansovino, Salvatore Virzì, anche lui è ricoverato, ma non è grave. Nelle ore convulse del post-tragedia, il nome di Puccio era finito tra le vittime: «un errore di comunicazione», ha ammesso ieri Nazareno Laganà, comandante della capitaneria di Messina. Gli investigatori stanno accertando se sono state le norme sulla sicurezza; se chi è entrato nella pancia del traghetto avesse i requisiti e gli indumenti necessari per farlo; se Caronte & Tourist, l’armatore della Sansovino, abbia le carte in regola con la formazione continua dei lavoratori come prevede il decreto 81 del 2008. i sindacati puntano il dito sulla mancanza di sicurezza e sul rispetto dei protocolli.

Per la Cisl «stenta a crescere la cultura della sicurezza sui luoghi di lavoro: troppo pochi gli ispettori. E l’idea, dura a morire, che la sicurezza sia un costo, non una risorsa».

«GAETANO non doveva stare là, non era suo compito – afferma Antonino Natoli, suocero del secondo ufficiale D’Ambra – era trattato come fosse manovalanza, voleva lasciarlo questo maledetto lavoro, me l’aveva detto più volte. Chi gli ha dato l’ordine di scendere sotto coperta per fare un’ispezione che non era di sua competenza? Lui era ufficiale di coperta, non di macchina».

Nino Lombardo, il nostromo, è tra i lavoratori intossicati. Sta meglio, e racconta quel maledetto pomeriggio. Era sul traghetto, quando i suoi compagni l’hanno chiamato per dare aiuto: «Sono scappato e ho messo la maschera: ho avuto altre esperienze simili, ho capito cosa dovevo fare, sono in mare da trent’anni: sono riuscito a tirarne fuori due poi l’ossigeno nella bombola è finito e sono crollato: da quel momento non ricordo più niente». Il nostromo è considerato l’eroe della Sansovino. «Senza di lui i morti sarebbero di più», allarga le braccia Angelo Aliquò, direttore generale dell’ospedale Piemonte.