«Alla fine verrà fuori che la colpa è di chi era in albergo». Così dice Alessio Feniello, il padre di Stefano, una delle vittime del disastro dell’hotel Rigopiano di Farindola, travolto da una valanga il 18 gennaio del 2017, con 29 vittime. Ieri sera il gip di Pescara Nicola Colantonio ha disposto l’archiviazione di ventidue indagati per quei fatti: tra di loro gli ex presidenti della Regione Abruzzo Luciano D’Alfonso, Ottaviano Del Turco e Gianni Chiodi, l’ex sottosegretario alla giustizia Federica Chiavaroli e la funzionaria della protezione civile Tiziana Caputi.

Fuori dal processo anche gli assessori alla Protezione civile degli ultimi anni (Tommaso Ginoble, Daniela Stati, Mahmud Srour, Gianfranco Giuliante e Mario Mazzocca), l’ex vicepresidente della regione Enrico Paolini, l’ex direttore generale Cristina Gerardis e l’ex direttore della protezione civile Antonio Iovino. Archiviazione pure per Daniela Acquaviva, la funzionaria della prefettura di Pescara che, mentre l’hotel veniva sepolto dalla neve, rispose al primo allarme facendo spallucce e aggiungendo che «la madre degli imbecilli è sempre incinta». Acquaviva, comunque, resta imputata nel procedimento bis, quello per depistaggio. Restano sotto processo l’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, il consulente sulla sicurezza Andrea Marrone, il dirigente della protezione civile Carlo Giovani e il responsabile della Gran Sasso Resort & Spa Bruno Di Tommaso.

Le ventidue archiviazioni erano state chieste dal capo della procura Massimiliano Serpi e dal sostituto Andrea Papalia. L’opposizione degli avvocati dei familiari delle vittime è servita a poco: il gip ha respinto tutto e ha dato ragione alla procura. L’inchiesta che resta in piedi, a questo punto, è monca: alla fine del processo la verità giudiziaria riguarderà solo una parte di quanto successe quel giorno di gennaio, quando il terremoto e la neve causarono la strage. «Non si ritiene che gli elementi investigativi indicati negli atti di opposizione (in quanto irrilevanti) possano incidere sulle risultanze investigative, precise ed esaustive, raccolte dal pm, non potendo sminuire le considerazioni da questi assunte nella richiesta di archiviazione e condivise da questo giudice – così scrive il giudice Colantonio –.

Pertanto può affermarsi che le risultanze investigative non permettono di sostenere l’accusa in giudizio». E ancora, sostiene il gip, «i politici (presidente di Regione e assessore delegato alla Protezione civile) che si sono succeduti nel governo della Regione Abruzzo, non possono ritenersi responsabili per non aver emanato, in tempo utile, i provvedimenti necessari per la formazione di una Carta delle valanghe che comprendesse anche l’area territoriale di Farindola: quindi, deve prendersi atto che, sulla scorta delle priorità indicate dal Comitato tecnico regionale per lo studio della neve e delle valanghe (Coreneva), l’autorità politica aveva proceduto correttamente a valutare, in via preminente, le aree comprese nei bacini sciistici». Nessuna responsabilità, dunque, la condotta del governatore e degli altri politici coinvolti «non può considerarsi omissiva e collegata al crollo della struttura alberghiera di Rigopiano».

Il commento finale è ancora di Feniello, che da quasi tre anni si batte per ottenere verità e giustizia, quando la morte arrivò mentre tutti aspettavano i soccorsi: «Il giudice ha accolto la richiesta di archiviazione nei confronti dei funzionari della Regione e dei personaggi che ci hanno fatto credere che Stefano era vivo, uccidendolo due volte. L’archiviazione è un colpo che fa molto male. Per quanto riguarda non ho parole, mi sento preso in giro dalla giustizia».