Rina Services è una società di servizi di classificazione, certificazione, collaudo e ispezione «per garantire l’eccellenza – recita la presentazione di questo settore della multinazionale Rina – alle organizzazioni dei settori navale, ambiente ed energia, infrastrutture, trasporti e logistica, qualità e sicurezza, agroalimentare».

Tra le attività del gruppo Rina, per intendersi, c’è anche il Ponte Morandi, dove è in campo una «regia forte per restituire il ponte di Genova all’Italia in tempi rapidi», come spiega una nota della multinazionale a proposito del rifacimento del viadotto.

Ma il comparto Rina Services ha una macchia sul suo curriculum che stona con tante dichiarazioni di eccellenza. Qualche giorno fa infatti, il Punto di contatto nazionale dell’Ocse (Pcn), organismo creato all’interno del Ministero dello sviluppo economico che tra l’altro aiuta a risolvere contenziosi con le imprese multinazionali, ha reso nota la sua proposta di mediazione su una vicenda che coinvolge un comparto della multinazionale ma che per ora non è stata accolta. Rina Services aveva infatti certificato come sicura una fabbrica di abbigliamento di Karachi, in Pakistan, in cui, tre settimane dopo la certificazione, un incendio ha ucciso oltre 250 persone: era l’11 settembre del 2012 quando le fiamme travolsero lo stabilimento Ali Enterprises, certificato da Rina conforme alla norma SA8000, standard internazionale stabilito da Social Accountability International. Secondo la società però tutto si era svolto, dal suo punto di vista, regolarmente.

Nel settembre del 2018, i sopravvissuti, le famiglie dei deceduti e organizzazioni per i diritti dei lavoratori locali ed europei avevano allora presentato istanza al Pcn in Italia ma, alla fine del processo di mediazione conclusosi quest’estate, Rina ha deciso di non firmare la proposta d’accordo che avrebbe garantito sollievo economico alle famiglie e obbligato l’azienda a migliorare le proprie pratiche di certificazione. «L’auditor – ricorda la Campagna Abiti Puliti – aveva trascurato una serie di obblighi di sicurezza, come la necessità di avere un sistema di allarme antincendio funzionante o uscite di emergenza sufficienti ed efficaci e successivamente sono venute a galla una serie di altre violazioni dei diritti dei lavoratori ignorate dall’auditor». «Sebbene Rina abbia certificato la fabbrica come sicura, in realtà è stata una trappola mortale che è costata la vita a mio figlio e ad altre 250 persone», commenta Saeeda Khatoon, presidente dell’Ali Enterprises Factory Fire Affectees Association:«Come familiari delle vittime e sopravvissuti chiediamo giustizia e responsabilità e siamo molto delusi dal rifiuto di firmare l’accordo».

Come impresa situata in un Paese membro dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), ricorda Abiti puliti, «Rina deve attenersi alle Linee guida per le imprese multinazionali», quelle appunto di cui si occupa il Pnc che ha per altro riconosciuto il merito della denuncia-istanza incaricando un esperto e proponendo alla fine alla società il pagamento di 400.000 dollari alle persone colpite dall’incendio e che un rappresentante dell’azienda incontrasse le famiglie per esprimere solidarietà. Poi ha suggerito all’azienda di promuovere un miglioramento dei sistemi di certificazione globali con trasparenza sulle politiche in materia di gestione del rischio, corruzione e conflitto di interessi. Un compromesso, tra le richieste delle famiglie e la posizione della società, che le organizzazioni di tutela locali ed europee avevano ritenute accettabile. Ma la firma di Rina per ora in calce a quella proposta – otto anni dopo l’incendio – ancora non c’è.