Almeno venticinque i morti, tra cui bambini, altrettanti i feriti e sette gli ostaggi, tra cui due italiani, il bilancio provvisorio e non ufficiale dell’attacco armato contro uno dei più prestigiosi centri commerciali di Nairobi, in Kenya. Cifre riportate dalle tv locali e dai testimoni oculari ma non ancora confermate da nessuna fonte ufficiale. Il Westgate Shopping Mall era gremito di turisti quando ieri verso mezzogiorno ora locale alcune granate sono state fatte esplodere da individui armati all’interno dell’edificio scatenando il pandemonio tra i presenti.
Le testimonianze dei feriti e della Croce Rossa locale raccolte dalle maggiori agenzie di stampa internazionali tra cui Reuters e Afp riportano di dozzine di adulti e bambini nascosti nei cinema e nei bagni del lussuoso complesso portati poi fuori dai militari su barelle e carrelli della spesa, di clienti giustiziati a sangue freddo e di un numero imprecisato di persone rimaste sotto il tiro di quello che secondo il Ministero dell’Interno kenyota potrebbe essere un attacco terroristico più che una rapina a mano armata.
Se la matrice terroristica venisse confermata, l’attacco al Westgate di ieri rappresenterebbe il terzo più grande da parte dello stesso gruppo al-qaedista separatista Al –Shabab dopo quello all’ambasciata americana a Nairobi del 1998 che aveva lasciato più di duecento morti e quello del 2002 contro un hotel di proprietà israeliana e il tentativo di abbattimento di un jet israeliano.
Una carneficina annunciata quella di ieri, sarebbe lecito dire visto che più volte i militanti di Al-Shabab avevano minacciato l’attacco al lussuoso shopping center per rappresaglia dopo l’invasione delle forze keniote in Somalia nel 2011.
Inaugurato nel 2007, con i suoi circa 80 negozi il Westgate ospita i maggiori brand internazionali tra cui Adidas, Nike, Converse, un multisala di ultima generazione – il Planet Media Cinemas Complex and Media Store – il Millionaires Casino e – tra gli istituti bancari – quelli della Barclays, della Cfc Stanbic and Diamond Trust Bank e della Kcb. Circa 30,000 metri quadrati di vendita al dettaglio e di servizi di ogni tipo progettati secondo i più alti standard internazionali che rappresentano l’hub finanziario e commerciale probabilmente più esteso e maggiormente concentrato dell’Africa orientale.
Una carneficina quella di ieri che di fatto rappresenta l’attacco allo status simbol del gotha dei brand del mercato occidentale.
Nairobi è sede della più grande ambasciata americana, ospita uffici dell’Onu e i quartieri generali di multinazionali come Ibm, Google, PwC, Wpp, Bharti Airtel, Nokia / Siemens, Huawei, Procter & Gamble, Biersdoff, Barclays e Stanchart e molte altre, tutti pesi massimi del mercato mondiale che su territorio kenyota formano un hub di investimenti in espansione verso l’Africa Sub-sahariana.
Oltreché con Stati uniti ed Europa, il Kenya gode di solide relazioni diplomatiche con Israele. E infatti risale a novembre del 2011 un protocollo d’intesa tra i due Paesi in materia di cooperazione per la sicurezza nazionale che prevedeva anche l’accordo per la creazione di una coalizione comprendente oltre al Kenya anche Etiopia, Sud Sudan e Tanzania contro i gruppi radicali islamici legati ad Al Qaeda attivi soprattutto nella zona di frontiera. Protocollo firmato un mese dopo che il Kenya aveva lanciato la sua «Operation Linda Nchi» ( Defend the Country ) in Somalia contro i terroristi di Al Shabaab, considerati la minaccia più importante agli interessi turistici della zona costiera.
In realtà, come svelato poi da Wikileaks, «l’iniziativa Jubaland» era già stata pianificata da tempo con l’intento di costruire una zona cuscinetto e una regione autonoma per difendere gli interessi del Kenya nella zona di confine con la Somalia.
L’attacco di ieri colpisce al cuore il ricco hub economico-commerciale di Nairobi per ricchi turisti che insieme alle gettonatissime spiagge bianche dei tour operator fa da contraltare alle latrine, alle fogne a cielo aperto e alla povertà radicata delle popolazioni locali delle aree di confine.