La settimana si apre con altri due record negativi per l’India nel pieno della seconda ondata pandemica: quasi 353mila nuovi contagi, 2812 morti, in 24 ore.

PARLIAMO DI DATI «UFFICIALI», diffusi dal ministero della sanità, viziati da un timore che, di giorno in giorno, si sta facendo sempre più fondato: che le cifre governative siano di gran lunga inferiori ai contagi e alle morti effettive.

Il Financial Times nel weekend ha pubblicato un grafico esplicativo in cui incrociava i dati sui morti di Covid19 diffusi dalle autorità locali al numero di cremazioni effettuate nei campi crematori delle medesime località. Ad esempio a Bhopal, nello stato del Madhya Pradesh, le cremazioni sono state ventiquattro volte tanto le «morti ufficiali» per Covid.

Che si tratti di manipolazione colposa incoraggiata dalla politica o, come la data journalist Rukmini S indica da oltre un anno, ci si trovi di fronte alle conseguenze di gravissime approssimazioni strutturali di tutta la catena burocratico-sanitaria in India anche pre-Covid, sarà eventualmente materia per i tribunali.
Ora siamo solo certi che l’intensità con cui la seconda ondata pandemica si è abbattuta sull’India sta portando alla luce gli enormi limiti di un sistema fino a qualche settimana fa celebrato come vincente dal governo di Narendra Modi e dai suoi lacché, sparsi per i principali mezzi d’informazione del Paese.

A NEW DELHI, dove vive gran parte dei giornalisti indiani e stranieri, le tragedie dei malati di Covid19 morti fuori dagli ospedali per mancanza di letti o di ossigeno sono in aumento esponenziale, mentre il mercato nero spopola tra gli abbienti più disperati: secondo Bbc, una bombola d’ossigeno che di norma costerebbe 80 dollari, acquistata dai trafficanti ora può arrivare a costarne 1330; stesso discorso per farmaci come il Remdesivir, la cui scarsità sul mercato regolare ha fatto gonfiare il prezzo al mercato nero da 12 a 1000 dollari a fiala.
Mentre la cronaca del disastro occupa le pagine dei media di mezzo mondo, in parallelo si sono moltiplicati gli attestati di solidarietà e le promesse di sostegno internazionale.

DAL PRESIDENTE statunitense Joe Biden ai Ceo di Microsoft e Google – entrambi di origine indiana –, il premier giapponese Suga Yoshihide, la cancelliera tedesca Angela Merkel sono solo alcuni dei leader che hanno teso una mano al secondo Paese più popoloso del mondo: arriveranno aiuti economici, bombole d’ossigeno, componenti primarie per lo sviluppo dei vaccini.

SOLO UN ANNO FA il primo ministro Modi, cantando le lodi dell’India più forte del coronavirus e «pronta ad aiutare il mondo», individuava nello slogan sanscrito «Atmanirbhar Bharat» il motto per l’India durante la pandemia : «India Autosufficiente», un Paese in grado non solo di cavarsela da solo, ma di raccogliere la sfida di «fabbrica di vaccini del mondo» per combattere il virus dentro e fuori i propri confini.

Anche allora, le parole «ufficiali» descrivevano una realtà del tutto inventata. Oggi l’India, che ha disperato bisogno dell’aiuto della comunità internazionale, ha bloccato la distribuzione di vaccini oltreconfine.

I vaccini per uso domestico – su cui Delhi sta basando l’intera strategia di contrasto alla pandemia – saranno invece distribuiti anche sul mercato libero. Cioè a pagamento, per cifre che potranno superare le 1200 rupie a dose per i pazienti che decideranno di vaccinarsi presso strutture ospedaliere private. Cifre comunque ancora da stabilire e che varieranno – anche di molto – all’interno del territorio nazionale. Riflettendo le enormi diseguaglianze che il virus, in India come altrove, ci sta nuovamente mostrando.