I picchetti di regolazione delle curve lungo i binari sono molto pericolosi in caso di deragliamento di un treno. Quindi vanno tolti, oppure messi in condizione di non costituire più un potenziale danno. Questo concetto, peraltro già noto al gruppo Fs che non ha più utilizzato i picchetti nelle tratte ad alta velocità, viene ribadito nella relazione della Commissione di indagine del ministero dei trasporti sul disastro ferroviario di Viareggio del 29 giugno 2009. Il documento finale, appena integrato dai tecnici ministeriali, segna un punto a favore della pubblica accusa, convinta della corresponsabilità delle Ferrovie nell’immane disastro. E potrebbe entrare a pieno titolo agli atti del processo per la strage, la cui udienza preliminare è ripresa ieri al Polo fieristico.

La procura di Lucca guidata da Aldo Cicala ha chiesto al gup Alessandro Dal Torrione che l’integrazione della Commissione di indagine sia acquisita dalla corte. Sulla base di una meticolosa indagine della Polfer e del consulente tecnico Aldo Toni, i pm Giuseppe Amodeo e Salvatore Giannino da sempre sostengono che la rottura del carro cisterna pieno di gpl deragliato sia stata provocata proprio da un picchetto di regolazione delle curve. All’opposto, il gruppo Fs si dice convinto che a provocare lo squarcio fu la «piegata a zampa di lepre», cioè un componente ineliminabile di uno scambio ferroviario. Su questo decisivo aspetto del processo c’è già stato un contestato incidente probatorio, il cui risultato ha dato ragione alle tesi difensive delle Ferrovie. Ma ora i tecnici del ministero dei trasporti, con il loro approfondito lavoro, hanno di fatto riaperto la partita.

In dettaglio, la relazione tecnica della Commissione di indagine attribuisce «una maggiore plausibilità, quale strumento agente che ha prodotto lo squarcio alla cisterna, al picchetto numero 24 di verifica della curva dell’asse del binario di corsa del convoglio». Quindi la Direzione generale per le investigazioni ferroviarie del ministero ha chiesto all’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, sotto forma di «raccomandazioni tecniche», di impegnare Rete ferroviaria italiana «affinché studi e attui un mirato piano di graduale rimozione dei picchetti». Oppure, in alternativa, «avvii una graduale installazione di sistemi di protezione e confinamento degli stessi picchetti, che ne annullino la intrinseca potenzialità di diventare strumento di taglio e lacerazione».

Daniela Rombi, coordinatrice dell’associazione «Il mondo che vorrei» che riunisce i familiari delle 32 vittime della strage, ben sintetizza il nuovo possibile quadro del processo: «La commissione ha fatto due raccomandazioni a Rfi: tolga i picchetti o li metta in sicurezza. I tecnici del ministero sono arrivati a questa conclusione dopo un altro anno di indagini, svolte con metodologie diverse da quelle che avevano portato anche noi su questa posizione. Sono state effettuate ben sette prove, e l’unica compatibile al 90% è risultata quella del picchetto». Poi una considerazione più generale: «Non siamo contenti perché la nostra tesi è risultata quella con maggiori probabilità di essere vera, i nostri figli non li riavremo mai indietro. Ma in questo modo speriamo che la strage di Viareggio serva a dimostrare quello che non va e cosa c’è da cambiare. La rimozione dei picchetti e la loro sostituzione con tecniche diverse che oramai esistono, o la loro messa in sicurezza, permetterà di rimediare a un pericolo presente ovunque sulle linee ferroviarie italiane». Giovedì nuova udienza. Mentre oggi potrebbe arrivare a sentenza la causa di lavoro contro il licenziamento del ferroviere, consulente dei familiari delle vittime, Riccardo Antonini.