È di almeno 50 morti e 150 feriti il bilancio dell’attentato suicida che ieri mattina ha squassato una base militare nel nord del Mali, a Gao. Non ci sono rivendicazioni né accuse del governo in una particolare direzione, ma la matrice jihadista dell’attacco, condotto con uno o più veicoli imbottiti di esplosivo, appare più che probabile. Anche perché malgrado vengano definite «sporadiche» dalle autorità, non sono mai cessate le azioni di diversi gruppi islamisti armati contro obiettivi militari (17 i soldati maliani uccisi lo scorso luglio nella città di Nampala).

L’esercito è in affanno, malgrado la presenza sul territorio di una missione francese (Barkhane, discendente diretta dell’operazione di guerra Serval, lanciata da Hollande nel 2013 per riportare il nord del paese sotto il controllo del governo centrale), una missione delle Nazioni unite (Minusma) e una dell’Unione africana affidata alla Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Misma), aventi tutte come obiettivo lo sradicamento dei gruppi islamisti ancora attivi nel paese.

A proposito della prima, il ministero della Difesa francese mantiene un ostinato silenzio sulla vicenda avvenuta il 30 novembre scorso nella zona di Tigabatene – e rivelata da un’inchiesta di Jeune Afrique -, l’uccisione di un ragazzino di dieci anni durante un’operazione targata Barkhane. I militari francesi a bordo di un elicottero lo avrebbero scambiato per terrorista e una volta realizzato l’«errore» sarebbero scesi a terra per seppellire sommariamente il corpo del piccolo Issoufou. I genitori che lo avevano mandato a prendere l’acqua lo hanno ritrovato il giorno dopo, in una zona crivellata dai colpi esplosi dall’elicottero francese.

Nella base colpita ieri, invece, oltre alle truppe regolari maliane sono alloggiate le milizie tuareg ex ribelli. Nel quadro degli accordi di pace firmati nel 2015, è affidato loro il compito di integrare le pattuglie miste con cui l’esercito di Bamako tenta disperatamente di controllare il territorio. Tra le vittime dell’esplosione di ieri ci sarebbero dunque anche uomini del Gruppo di autodifesa tuareg Imghad et alliés (Gatia), braccio armato della coalizione Plateforme, la più «lealista» nel quadro della ribellione tuareg. A Bamako, un migliaio di km più a sud, il governo ha decretato tre giorni di lutto nazionale.