Agide Melloni è l’autista dello storico 37, autobus della linea urbana divenuto simbolo della città che seppe reagire a quell’attacco violento, che nel giorno della strage del 2 agosto alla stazione di Bologna fece la spola per oltre sedici ore fra piazza medaglie d’oro e le camere mortuarie. Il mezzo fu convertito in trasporto per le vittime lasciando alle ambulanze il solo compito di trasportare i feriti. Allo scoppio della bomba Melloni, all’epoca trentunenne, era in pausa e sarebbe rimontato in servizio dopo le 11. Appena saputo della strage andò subito in stazione a prestare aiuto. Dopo trentasette anni quello stesso autobus era alle celebrazioni come Agide Melloni, a cui abbiamo rivolto alcune domande.

Il 2 agosto dell’80 lei è stato testimone anche dell’umanità e del coraggio di una Bologna che non ha aspettato a reagire. Che città ha visto quel giorno?
La reazione della città mi sorprese. Non erano passati molti anni dalle contestazioni del ’77, una frattura che aveva lasciato un segno profondo nel tessuto bolognese. Fino al giorno dei funerali le diversità di idee, pensiero e generazioni, furono azzerate. Ci si trovò a rispondere a coloro che avevano messo in atto quella strage, a confrontarci con una reazione che accomunò tutti. Su quelle macerie c’era un’ampia rappresentazione di Bologna in tutte le sue sfaccettature, sociali, politiche, generazionali. Ci fu una risposta comune a un atto ingiusto compiuto da qualcuno, ancora non sapevamo chi, ma avevamo individuato già il tentativo di far tornare indietro una città che aveva una chiara storia politica. La reazione alla strage ebbe un importante risvolto umano, politico, sociale. Ho vissuto come cittadino le giornate del ’77, non sono mai stato indifferente alle questioni politiche. La risposta della città fu compatta, senza divisioni di fedi e colori. Questo fece la differenza. In pochi quel giorno si tirarono indietro. Fu un dramma improvviso che colpì un luogo simbolo, un pezzo di diritto per tutti i cittadini. La reazione era d’obbligo. Quel giorno oltre agli 85 morti e ai circa duecento feriti migliaia di persone rimasero colpite come me. Avevano ucciso delle persone, distrutto un luogo, e colpito me nel mio diritto di cittadino e nella mia sicurezza. Ero stato defraudato, non potevo restare inerte.

Come ha vissuto gli anni successivi alla strage?
Sono rimasto defilato, ma non disinteressato. Il 2 agosto non manca mai dal calendario del mio impegno. Ho sempre partecipato alle celebrazioni in mezzo agli altri. Sono uno tra la gente. La strage ha lasciato un segno, in cambio però ho avuto un ulteriore stimolo a reagire. Non si può e non si deve rimanere inerti, i ricordi non mi abbandonano. Cambiano i tempi e le generazioni, ma c’è la spinta a continuare per trasmettere ai giovani quello che è accaduto. A Bologna non si deve dimenticare. Non ci può essere un buco nella memoria. La palla adesso passa ai giovani, bisogna lavorare su di loro e su quello che ci ha lasciato dentro quella tragedia. Oggi il loro approccio è diverso. Penso che la cosa importante sia non rimanere indifferenti ai drammi che la storia riserva a tutti noi. Anche loro sono coinvolti. Credo di poter interpretare il sentire comune di tutte le persone che quel giorno hanno contribuito, ognuno a suo modo, prestando aiuto. Ci stringiamo intorno alle famiglie delle vittime affinché venga fatta giustizia. Ora parlo a titolo personale, sono solidale con le richieste che pone l’associazione e se lo Stato non risponde alla necessità sollevata dai familiari delle vittime credo che non sia uno stato che ottempera ai suoi doveri nei confronti dei suoi cittadini: rendere giustizia alle persone colpite dalla strage.

Che significato ha oggi quel bus 37 che dopo tanti anni è tornato alle celebrazioni, fra la gente?
È il mio compagno di viaggio, con lui ho un rapporto particolare che non ho voluto infrangere avvicinandomi. Conservo un affetto e un legame speciale. È stata una decisione saggia quella di farlo riapparire in stazione. Ora è tornato in deposito. E io, dopo questi giorni intensi, ho bisogno di tornare a un po’ di calma.