È stato il 2 agosto dell’emozione. E, forse, della riconciliazione con le istituzioni. Merito del discorso della Presidente della Camera Laura Boldrini, appassionato, semplice e applauditissimo dai bolognesi. Di fronte a lei migliaia di persone radunate in Piazza Medaglie d’Oro, a pochi passi dalla sala d’aspetto della stazione di Bologna che 33 anni fu sventrata da un ordigno fascista che uccise 85 persone e ne ferì più di 200. «Se penso alla crisi di legittimità delle istituzioni – dice Boldrini – credo che la causa sia l’incapacità di fare chiarezza fino in fondo, di dire la verità e di restituire quella giustizia completa che ancora non abbiamo. E allora come si fa a innamorarsi delle istituzioni? Serve chiarezza e trasparenza. Gli esecutori materiali della strage sono stati individuati, ora mancano i mandanti e i burattinai». Un discorso che ritorna sulla stretta attualità quando Boldrini si scaglia contro le svastiche apparse giorni fa a Roma per festeggiare i cento anni del criminale nazista Erich Priebke. «Dobbiamo essere sentinelle della Costituzione. Come possiamo ricordare i morti di Bologna e tacere su tutto questo? O tollerare gli insulti a una ministra di colore da parte di un rappresentante delle istituzioni? L’intolleranza genera mostri».
Prima di Boldrini un breve discorso sottotono del sindaco di Bologna, Virginio Merola. Per lui una manciata di fischi e insulti dal fondo della piazza quando ha ricordato la nuova stazione dell’alta velocità appena inaugurata. Non è mancata la polemica, invece, quando ha preso la parola Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage del 2 Agosto. Bolognesi ha bacchettato la Procura di Bologna, colpevole a suo dire di non avere indagato abbastanza e di non aver mai interrogato personaggi come Giulio Andreotti e Amos Spiazzi, colonnello dei carabinieri morto generale nel 2012 senza mai essere stato interrogato dai pm, «eppure – ha detto Bolognesi – non c’è avvenimento di potenziale contenuto eversivo che non abbia visto emergere il suo nome». Bolognesi ha puntato anche il dito contro Licio Gelli. «Ci siamo resi conto che nel corso delle indagini sul fallimento del Banco Ambrosiano furono sequestrati documenti dai quali, sulla base delle conoscenze attuali, è possibile trarre argomenti per considerare il coinvolgimento di Gelli molto più di un semplice depistaggio. Tutto ciò porta a presupporre che non siamo più nell’ambito del depistaggio, ma nel pieno concorso nell’organizzazione della strage».
La conclusione di Bolognesi, ora anche parlamentare tra le fila del Partito democratico, è netta: «Adesso ci sono le condizioni per arrivare ai mandanti e alla verità, restano accertamenti da completare, silenzi omertosi da sciogliere e conclusioni da trarre». Intanto il presidente dell’associazione dei parenti delle vittime incassa l’appoggio del Governo alla sua proposta di legge per istituire il reato di depistaggio. «Questa iniziativa non può che essere vista con favore dal governo», ha detto il ministro per gli affari regionali Graziano Delrio, presente in piazza e nelle celebrazioni che di primissima mattina si sono tenute nel palazzo comunale di Bologna. «Nel prossimo decreto sicurezza – ha promesso il ministro- inseriremo un provvedimento per risolvere i problemi legati ai risarcimenti ai familiari delle vittime. Mi impegno personalmente e si impegnerà anche Letta. In poche settimane, al massimo in pochi mesi sistemeremo questa questione».
Nel pomeriggio è arrivata anche una nota della Procura di Bologna. «Non replichiamo a chi rappresenta le vittime della strage. Stiamo solo tentando di individuare i mandanti di quel fatto orribile, a ben 33 anni di distanza, seppur con straordinarie difficoltà, ma in assoluta serenità». Per gli 85 morti della stazione di Bologna Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, terroristi neri dei Nar condannati all’ergastolo in quanto esecutori materiali, hanno estinto il loro debito con la giustizia. Luigi Ciavardini, condannato a 30 anni, è in semilibertà. Tutti e tre si sono sempre dichiarati innocenti. I nomi dei mandanti – o «burattinai» come li ha chiamati Boldrini – dopo 33 anni restano sconosciuti.