«Mafia e terrorismo, una trattativa e tanti depistaggi, mai più trattative sulla verità». È il testo del manifesto scelto quest’anno per la commemorazione della strage del 2 agosto 1980 alla stazione ferroviaria di Bologna. «Da poco c’è stato a Palermo il processo sulla trattativa Stato-mafia – ha spiegato Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime – e secondo noi di trattative di questo tipo in Italia ce ne sono state altre, come sulle stragi. Si trovano sempre gli esecutori, ma mai i mandanti. Questo vuol dire che ci sono stati alcuni personaggi dello Stato che hanno impedito di arrivare alla verità». A rappresentare quest’anno il Governo sarà Alfonso Bonafede, la prima volta in assoluto per un ministro della Giustizia.

MA LE CELEBRAZIONI per l’anniversario della strage si terranno questa volta anche con la novità del processo in corso al terrorista nero Gilberto Cavallini, accusato di concorso nella preparazione della più efferata e sanguinosa strage nella storia della Repubblica (85 morti e 200 feriti). Per la cronaca, Cavallini, 65 anni, attualmente in semilibertà, vanta otto ergastoli per altrettanti omicidi, tra cui quello del giudice Mario Amato a Roma il 23 giugno 1980.

Questo nuovo filone d’indagine si era aperto a seguito del dossier elaborato dall’Associazione dei familiari delle vittime, frutto di un approfondito lavoro di ricerca incrociando migliaia e migliaia di pagine di atti giudiziari mai prima correlati fra loro, non solo relativi a Bologna, ma anche ai tanti processi per fatti di strage e terrorismo dal 1974 in avanti. Nelle conclusioni di questa stessa ricerca, inoltrata alla magistratura nel luglio 2015, si era arrivati a indicare i presunti mandanti, i finanziatori e i complici della strage.

Un primo risultato è stato proprio il rinvio a giudizio di Gilberto Cavallini come «quarto uomo» della strage, secondo quanto ricostruito, attivo nell’aver fornito supporti e nascondigli per la latitanza in Veneto di Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, tutti e tre condannati per la strage in via definitiva, i primi due all’ergastolo, il terzo, minorenne all’epoca, a 30 anni, Iniziato nel marzo scorso, il processo ha visto sfilare come testimoni proprio coloro che sono stati condannati in via definitiva. Una presenza segnata da dichiarazioni irrispettose, se non provocatorie, indifferenti al dolore dei familiari, espresse in particolare da Ciavardini, definitosi «l’86esima vittima», e da Francesca Mambro (8 ergastoli più 84 anni di condanne), paragonatasi a «una deportata», seguite da molti «non ricordo», davvero poco cedibili, in risposta alle tante domande dei giudici, dopo aver fornito nei processi passati versioni diverse e fra loro contraddittorie sui loro movimenti in quelle date di agosto.

Dal canto suo Valerio Fioravanti ha preso le distanze dall’imputato. «Io su Cavallini», ha detto, «sospendo il giudizio». Motivo: i suoi passati rapporti con Carlo Digilio, l’armiere di Ordine nuovo «per 20 anni con i servizi segreti militari e non».

IN QUESTO QUADRO, il nodo di alcuni legami sarà sicuramente al centro nel prosieguo del dibattimento. Nell’ordinanza di rinvio a giudizio di Cavallini si fa infatti riferimento a un biglietto su carta intestata di Carlo Maria Maggi, uno dei massimi dirigenti di Ordine nuovo, condannato all’ergastolo per la strage di Brescia, dove si parla di esplosivo T4 e detonatori da «dare a G. C.», con ogni probabilità Gilberto Cavallini, a riprova dei rapporti tra i Nar e «la vecchia guardia di Ordine nuovo». Se fosse così si dimostrerebbe come vi sia stato una continuità tra le due stagioni del terrorismo nero, il periodo del ’69-’74 e l’80. Il processo riprenderà il 19 settembre. A testimoniare arriveranno anche Roberto Fiore, all’epoca leader di Terza Posizione, e Fabrizio Zani, tra i fondatori dei «Gruppi per l’Ordine Nero».

NEL FRATTEMPO si stanno svolgendo, su disposizione del presidente della Corte d’Assisie Michele Leoni, nuove perizie chimico-esplosivistiche sia su un cartellone pubblicitario presente nella sala d’aspetto al momento dell’esplosione, sia sulle macerie, le valigie e gli effetti personali, che furono successivamente trasferiti nell’ex caserma San Felice ai Prati di Caprara.

L’intento, grazie agli sviluppi dei metodi di indagine scientifica, sarebbe quello di tornare sulla composizione dell’esplosivo e sull’innesco, chimico o a tempo.