«Avevo in braccio il bambino ma stavo annegando, per risalire ho perso il piccolino». A raccontarlo in lacrime al procuratore di Agrigento, Salvatore Vella, è Wissen: ha solo 19 anni e viene dalla Tunisia, è uno dei 22 sopravvissuti che erano sulla barca di appena 9 metri affondata a 6 miglia da Lampedusa la notte tra domenica e lunedì. «Sono caduto in mare – ha spiegato – e, mentre andavo a fondo, tenevo gli occhi aperti così ho visto un bimbo di pochissimi mesi che stava annegando. L’ho afferrato per risalire ma mi sono sentito afferrare alle gambe da un africano che chiedeva aiuto. Mi tirava giù e io avevo in braccio il bambino. Così sono stato costretto a slacciarmi i pantaloni per poterle risalire. Solo che, nel frattempo, ho lasciato la presa e l’ho perso. È stato terribile».

I naufraghi hanno raccontato di essere partiti dalla Libia, tappa intermedia in Tunisia, a Sfax, e poi rotta verso la Sicilia. Un percorso che rappresenta una novità per gli inquirenti. A provocare il rovesciamento della barca è stata innanzitutto l’avaria del motore con il guasto della pompa di sentina: l’imbarcazione ha iniziato a riempirsi d’acqua mentre le condizioni meteo peggioravano. Allora hanno contattato il Centro di coordinamento per chiedere aiuto: a poche miglia da Lampedusa, quando le motovedette italiane erano quasi arrivate, si sono capovolti. È bastato un minimo spostamento per provocare il ribaltamento dello scafo, che non era in condizione di reggere la traversata durante una buriana. Si sarebbero comunque salvati se i trafficanti li hanno messi in mare con i giubbotti di salvataggio. «È stato terribile. All’improvviso un gruppo di persone si è messo su un unico lato e la barca si è capovolta»: è il racconto di Lorraine, una ragazza di 24 anni che con il marito Nidal si è imbarcata a Sfax. «Era buio fitto – hanno spiegato -, all’improvviso si è spento il motore. Dopo poco tempo abbiamo iniziato a imbarcare acqua, è stato il caos. Quando sono arrivate le motovedette molti erano già in acqua. Abbiamo lasciato Sfax con il mare calmo ma poi si è agitato, le onde erano molto alte. Sono incinta, siamo partiti solo perché in Tunisia non si può più vivere».

Dai primi riscontri, sarebbero 4 i minori che mancano all’appello: il piccolo di 8 mesi che viaggiava con la mamma e che Wissen non è riuscito a salvare, un bimbo di 2 anni e due ragazze adolescenti. A bordo erano in 52: 38 provenienti da Costa d’Avorio, Guinea e Camerun, saliti in Libia, e 14 tunisini. I dispersi in totale dovrebbero essere 17. Tra loro anche Fakher, un tunisino di 28 anni affetto da tumore grave, era con un gruppo di amici del suo quartiere: «Era malato da tempo – hanno spiegato ai mediatori – ma le cure non erano andate bene, così ha pensato di partire e ora non c’è più». I soccorritori sono riusciti a portare a terra i corpi di 13 donne (tra loro una dodicenne e almeno due incinte), solo 5 identificate. Saranno seppellite nei cimiteri dell’agrigentino.

Secondo giorno di ricerche dei dispersi, ieri, in condizioni meteo proibitive per il mare molto mosso, la pioggia e il vento di maestrale che hanno ostacolato la Guardia costiera e la Guardia di finanza. Sono stati impiegati due elicotteri con raggi infrarossi mentre a terra sono rimaste, in attesa di una schiarita, le motovedette con i sommozzatori pronti a scendere fino a 50 metri, la profondità in cui dovrebbe essersi adagiato il relitto. A dare una mano nelle ricognizioni l’Ocean Viking, la nave dell’ong francese Sos Méditerranée e Medici senza frontiere, su incarico delle autorità marittime italiane.

Gli investigatori, intanto, hanno interrogato i superstiti: sono stati loro a raccontare che lo scafista sarebbe annegato nel naufragio. I tunisini avrebbero pagato 3mila dinari per raggiungere l’Europa. I video girati dai migranti con i cellulari sono stati acquisiti dal procuratore. «Stiamo cercando eventuali complici tra la Tunisia e la Libia» hanno spiegato gli inquirenti, che hanno aperto un fascicolo per naufragio e omicidio plurimo aggravato. «Lo sapevamo tutti che potevano morire. Non si può giocare al rimbalzo delle responsabilità» il monito del vescovo di Agrigento, durante la cerimonia celebrata ieri per le 13 vittime.