Il terrore stavolta è arrivato a San Bernardino,  in una tranquilla mattina di dicembre, e solo cinque giorni dopo la sparatoria in Colorado, l’America ha  seguito attonita in diretta un ennesimo angosciante replay.

Il bagno di sangue ha avuto inizio poco dopo le undici di mattina. Due o tre persone mascherate, pesantemente armate con armi automatiche – forse con indosso giubbotti antiproiettile – hanno fatto irruzione nei locali dell’ Inland Regional Center, un complesso polivalente di uffici pubblici e sede di un centro di servizi per disabili 100 chilometri e Est di Los Angeles. Gli attentatori sono entrati  in una sala conferenze in cui si stava preparando un pranzo prenatalizio per impiegati pubblici della contea ed hanno aperto il fuoco mietendo vittime inermi. Sono poi fuggiti lasciando a terra quattordici morti e almeno diciassette feriti.

Mentre la strada antistante al centro regionale veniva trasformata in ospedale da campo, nella zona sopraggiungevano ingenti forze dell’ordine in assetto di guerra. Nel giro di un paio di ore le indagini hanno portato gli inquirenti ad un appartamento nella vicina comunità di Redlands, dove gli agenti sopraggiunti hanno osservato un suv nero che si allontanava in velocità. È iniziato un inseguimento con una fitta sparatoria fra l’auto in fuga e la polizia che inseguiva. Le dirette televisive hanno mostrato il veicolo dei sospetti, crivellato di colpi che si è infine fermato su una strada di San Bernardino. Un uomo e una donna all’interno del suv sono morti raggiunti dal fuoco della polizia, un terzo individuo, forse un complice, è stato fermato nelle vicinanze.

Il quartiere, nei pressi dell’aeroporto di San Bernardino è  stato militarmente occupato da centinaia di agenti polizia, dello sheriffs department e dell’FBI pesantemente armati e dotati di cani e blindati militari che per ore hanno setacciato la zona andando di casa in casa alla ricerca di potenziali complici.  E ancora una volta una periferia americana è tornata a somigliare a una città mediorientale, una zona di guerra sull’uscio di casa.

san bernardino foto reuters

A meno di una settimana dai fatti di Colorado Springs, un centro di servizi sociali ha subìto un attacco che stavolta ha provocato il maggiore numero di vittime dalla strage alla scuola elementare di Sandy Hook  in cui morirono 20 bambini e 6 insegnanti. A differenza di quella strage a Newtown, nel 2012, o di quella al politecnico Virginia Tech nel 2007, in questo caso non si è trattato di un individuo squilibrato che ha agito da solo ma di almeno due persone apparentemente ben attrezzate e organizzate, vestite di nero e dotate di armi militari, una tipologia più “parigina” quindi, che ha subito scatenato le supposizioni su un “commando”, o addirittura una “cellula terrorista” improvvisamente operativa in una piccola municipalità proletaria sul limitare del deserto del Mojave. Una tesi che avrebbe trovato conferma anche in “uno o più ordigni esplosivi” che sarebbero stati rinvenuti sul luogo.

Secondo lo sceriffo di San Bernardino, però, i due attentatori uccisi si chiamerebbero Syed Rizwan Farook (28 anni) e Tashfeen Malik (27), una coppia di cittadini nati e cresciuti in America la cui famiglia è di origine pakistane. I due avrebbero una figlia di 6 mesi. Farook lavorava come ispettore presso i servizi sanitari della contea da 5 anni e mercoledì mattina insieme alla moglie ha lasciato la figlia neonata dalla nonna dicendo che dovevano andare a una visita medica. Accanto ai loro corpi, oltre a giubbotti antiproiettile, sono stati ritrovati due fucili d’assalto calibro .223 e armi semiautomatiche.

Dopo una giornata di panico, nella serata i portavoce di polizia e FBI hanno fornito i primi dettagli delle indagini, parlando in una conferenza stampa anche di un litigio o una colluttazione che sarebbe avvenuta nel centro conferenze. In seguito al diverbio un individuo sarebbe stato allontanato dalla festa e lo stesso sarebbe poi forse tornato accompagnato da uno o due complici e compiuto la strage.

In piena psicosi, i media hanno ripetutamente evocato una possibile responsabilità addirittura dell’ ISIS, ma col calare del sole andava purtroppo prendendo forma la più prosaica, plausibile, tesi di un litigio sul lavoro sfociato nel sangue.

L’ennesimo “mass shooting” insomma in un paese  che solo quest’anno ha registrato ben 355 “omicidi multipli” (nel 2013 sono stati 365; nel 2014 336).

“Non abbiamo ancora tutti i dettagli ma sappiamo che ci sono numerose vittime”, ha detto a caldo Obama quando la situazione era ancora in evoluzione. “Ancora una volta il nostro paese dimostra una disposizione alle stragi che non ha paragone in alcuna altra nazione della terra” ha aggiunto il presidente affermando ancora una volta l’unica evidente verità: “Potremmo adottare leggi sulle armi che limiterebbero di molto il fenomeno”.

Malgrado la psicosi alimentata ad arte da esperti militari in TV e politici repubblicani, il terrorismo in America non è una minaccia che incombe dall’estero ma una patologia da tempo endemica, una guerra civile strisciante che si annida in ogni casa e ogni periferia dove i cittadini stoccano una potenza di fuoco che equivale a una superpotenza militare sommersa, a disposizione di ogni squilibrato turbato da un’ideologia, una ossessione religiosa o un semplice dissidio col college o col vicino.

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