In una delle storie del film Da Cremona a Cremona di Maria Averina, Eva e Christo emigrano insieme in Italia e, nel cuore geografico di un’arte antica e abissale, aprono una futuristica bottega di cura artigiana: lì, in una danza di gestualità complementare, incidono, lucidano, creano, si immergono in religioso ascolto dei suoni dei loro legni rarissimi: tra i clienti abituali, Bruno Giuranna e Salvatore Accardo … In bici, leggeri procedono fianco a fianco, lei col caschetto, gli occhi grandi da diva del muto e lui robusto, rassicurante, mentre le note di Salut d’amour di Elgar li fanno librare in poesia pura.
Stesso documentario, stesso luogo di origine, Kazanlak, Bulgaria, ma questo è anche lo scenario asfittico da cui Stoyanka, pur volendolo, non è mai riuscita sottrarsi, anche in seguito alla delusione per aver scoperto che il fondo promessole dalla scuola per il prosieguo degli studi di liuteria in Italia era fittizio, un privilegio solo per i più abbienti, così ora la sua passione si è trasformata in lavoro in fabbrica, mentre Ivan, pur col dolore di lasciare la madre e i nonni che l’hanno cresciuto, la sua casa dove manca l’acqua, il suo laboratorio coi violini, tenta la scuola Internazionale in questo Paese e si ritrova in un pantano di difficoltà.
Al centro e obliqua, tangibile e lontana, ambrata di storia e di suoni la città di Stradivari, le strade trascolorate e «italo-bulgare»di Da Cremona a Cremona: un’opera che luccica nella sezione Casa Rossa Art Doc, indagine sulle discipline d’arte nell’ambito della ormai più che sedimentata ricerca sul documentario del Bellaria Film Festival, BFF35 (25-28 maggio): con la direzione artistica di Simone Bruscia, propone il concorso Italia Doc e un omaggio ad Alberto Farassino anche con la riedizione del suo Neorealismo. Cinema Italiano 1945 -1949.
Dunque storie dissonanti nel film, che pure stanno bene insieme, a dialogare con l’allure di Un cuore in inverno di Sautet o Il rullo compressore e il violino di Tarkovskij e a riverberare la complessità dei processi creativi tra le maglie in chiaroscuro delle migrazioni, l’erotismo del fare dell’arte, qui espanso in una affinità spirituale a due – pennello tra le pieghe del violino come miele e una firma scintilla congiunta – ma anche il suo essere dissidio di parti che non collimano, strazio, nostalgia di gerani bulgari nel giardino di Eva e Christo, e nei giorni vuoti di parole amiche di Ivan, in quelli avari di stelle di Stoyanka; luci al crepuscolo sulla cattedrale, e le botteghe cinesi, e Amati e lo splendore della liuteria del XVI secolo …