Visioni

«Strade perdute», dis-orientarsi nelle immagini di un lungometraggio

«Strade perdute», dis-orientarsi nelle immagini di un lungometraggio«A longa viagem do onibus amarelo» di Júlio Bressane

Rai 3 Il progetto di Filmmaker stanotte viene proposto all'1.40 da Fuori Orario

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 24 novembre 2023

Dis-orientarsi nelle immagini nascoste, non montate (da un film precedente o da uno in fase di lavorazione), «perdute» e «ri-trovate» su specifica richiesta, su «commissione», al fine di inserirle in un testo collettivo che invita al viaggio dentro i corpi di cinematografie espanse di cineasti e cineaste che hanno accettato di ri-aprire i loro archivi (o di farci scoprire in anteprima frammenti di lavori non ancora terminati) e dare luce/nascita a istanti, scene, segmenti portati alla visione dal fuori campo.

AL PROGETTO Strade perdute (sezione di Filmmaker Festival ideata e curata da Fulvio Baglivi e Cristina Piccino che, dopo l’anteprima milanese, andrà in onda questa notte su Rai Tre a Fuori orario a partire dalle 01.40 per poi essere disponibile su Rai Play) hanno aderito diciotto filmmakers: Ruth Beckermann (alla regista tedesca il festival ha dedicato l’anno scorso la retrospettiva), Júlio Bressane, Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, Tonino De Bernardi, Leonardo Di Costanzo, Alberto Fasulo, Fabrizio Ferraro, Michelangelo Frammartino, Sylvain George, enrico ghezzi e Alessandro Gagliardo, Carlo Hintermann, Giovanni Maderna, Alberto Momo, Bruno Oliviero, Alessandro Rossetto, Mauro Santini, Claire Simon (che lunedì prossimo terrà una masterclass all’Institut Français di Milano alle ore 10 condotta da Barbara Grespi), Stefano Savona.
Strade perdute è composto di schegge di durata diversa, di un’unica scena o di più scene, di appunti per un film da farsi, di immagini dettate da un montaggio serrato o inscritte nel piano sequenza. Il risultato è inevitabilmente disomogeneo, come quando si è di fronte a ogni opera collettiva, perché ciascun autore e autrice porta il proprio percorso creativo, ognuno dei quali invece ben collocato in una identità formale. A volte si evidenziano analogie tra alcuni frammenti (si pensi al camminare, all’idea e alla pratica del camminare contenuta nei contributi di ghezzi/Gagliardo, Bressane, De Bernardi), in certi casi sorge il desiderio di andare a ri-vedere i film chiamati a convegno o altri realizzati da quei filmmakers (se non che «passa sempre troppo tempo», come ripete Enrico Ghezzi nel frammento senza titolo da Gli ultimi giorni dell’umanità girato una ventina d’anni fa sull’isola de L’avventura, e il tempo, se esiste, continua a sfuggirci – o noi sfuggire a lui).

Il progetto è composto di schegge di durata diversa, di un’unica scena o di più scene, di appunti per un film da farsi, di immagini dettate da un montaggio serrato o inscritte nel piano sequenza

In un’esperienza spazio-temporale stratificata ci conduce Momo in A ritroso (progetto non ancora finito), piano sequenza all’indietro dentro una miniera, da un carrello trasportatore, mentre in sovrimpressione appaiono volti di donne, uomini, bambini, una danza, un falò, occhi che (ci) guardano in un flusso altamente mélo, contaminato con una colonna sonora elettronica, di «cinemavita» bruciante, erotico.

E MOMO lo vediamo tra le persone filmate a Parigi da Tonino De Bernardi in uno dei segmenti del suo contributo intitolato Strade ritrovate, ma nelle quali vagare, sostare, «incantarsi» (davanti alla casa che fu di Serge Gainsbourg). Corpi conosciuti o anonimi, come quello danzante di notte in una strada filmato anni fa da Beckermann e poi non utilizzato in American Passage. Fino al vortice, alla vertigine che sa trasmettere ancora una volta Bressane. In Escadas, frammento di A longa viagem do onibus amarelo, realizzato con Rodrigo Lima, il cineasta brasiliano monta in rapida successione una serie di scale, tratte da varie fonti in bianconero e a colori, di diversi tipi e da diversi luoghi, con ritmi e andature differenti del camminare su di esse e su cui si depositano rumori, musica, canzoni, silenzi. Come in un immenso loop senza fine.

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