Ci vuole coraggio, di fronte a un mucchio di entusiasmi spenti, per allacciarsi le scarpe giuste, sfilarsi fuori da un ufficio e andare fino in fondo, arrivare a salire le scale del palchetto per l’orchestra di Hyde Park a Londra, davanti al Metronome del Letná Park di Praga, sull’Esplanade des légionnaires à Malmousque a Marsiglia, sotto ai portici di piazza della Repubblica a Roma – nonostante il freddo, le notizie sempre cattive, gli umori di traverso. Ma è forse soprattutto per questi motivi che una sera ci si può trovare per strada, all’angolo di un parco, al centro di una piazza, dentro una stanza dal pavimento di legno in cui poter girare per mano, ora da un lato, ora dall’altro, starsene a tempi alterni su un piede solo, affidarsi all’andamento di uno sconosciuto. E ci sarà chi arriverà in ritardo, chi lascerà la bicicletta in un angolo e preferirà restarsene prima con le mani in tasca a toccarsi lo smartphone e guardare le scarpe degli altri, fumare una sigaretta in disparte, ma difficilmente mancheranno una fisarmonica, un violino, una chitarra.

QUALSIASI SARÀ L’ORA, qualcuno porterà del vino, poggerà per terra la bottiglia accanto ai cappotti che non servono, in attesa del momento adatto – la pausa tra un valzer e una bourrée, l’interstizio tra una polka e una chapelloise. Bastano due passi a destra, due a sinistra, quattro in cerchio per fare uno schottische, quanti ne servono per comporre una mazurka francese invece non si capisce mai, e a nessuno sembra importare davvero. D’altronde cosa possono i numeri di fronte alla consolazione di un reciproco scivolamento? Davanti a due corpi abbottonati in un abbraccio si smette di contare quasi subito. Certo, conoscere i passi è importante, i passi sono l’alfabeto di un codice che arriva da lontano, muta, si trasforma, ricordano gli esperti – senza passi non si dice niente. Ma se è vero che è parlando che s’impara a parlare, in serate come queste ci si sente ripetere che bisogna ballare anche quando i passi ancora non si conoscono.

LO CHIAMANO BALFOLK, parola che racchiude in sé una quantità infinita di saltelli e giravolte nati secoli fa negli angoli più disparati del continente, e che a partire dagli anni ’70 hanno trovato nuova linfa fino a prestarsi a più recenti reinterpretazioni e metamorfosi. Il musicista Eric Thézé lo racconta nelle sue ricerche a proposito della mazurka – danza «bastarda», di paternità erudita e stravolgimenti illeciti, nata in Masuria, nella Polonia nordoccidentale, intorno al 1830, quando in seguito alla spartizione della Polonia tra Prussia, Austria e Russia molti si rifugiarono in Europa occidentale. Tra loro c’era Frédéric Chopin, le cui composizioni malinconiche contribuirono alla diffusione in Francia. Da allora la mazurka è passata di salone in salone, di villaggio in villaggio, assorbendo risate e salti fino alla caricatura da balera così radicata nell’immaginario, per ritrovarsi oggi regina indiscussa di serate animate da piccoli gruppi, quasi indisciplinati, dove i piedi non si staccano da terra, le teste si posano sulle spalle, in uno struggimento sensuale che la avvicina a una variante europea del tango; un giro largo per recuperare la tristezza degli inizi. Eppure l’esigenza antichissima della danza di strada trova la sua radice nella condivisione dell’euforia, come mostrava la Barbara Ehrenreich di Dancing in the streets (Granta, 2007), ricostruendo «una storia della gioia collettiva» durata per più di diecimila anni prima di essere interrotta e perseguitata insieme alle streghe – il segno emotivo che indietro non si torna.
«In Francia usiamo il termine bal trad, baletì o bal sauvage» racconta Carole, 28 anni, nata ad Aix en Provence e attualmente residente a Marsiglia, dove lavora alla direzione delle relazioni internazionali dell’Università di Aix-Marseille. «Per spiegare cos’è» continua «faccio spesso riferimento alle serate popolari dei nostri nonni per una festa di paese o una festa nazionale. È vero, la fisarmonica richiama nell’immaginario della gente scene antiche, per questo sono sempre tutti molto sorpresi di vedere quello che trovano»: persone di 30 o 40 anni che spesso non si conoscono, parlano lingue diverse, si trovano in quella città per lavoro o per studio. Sono insegnanti, informatici, filosofi, o nessuna di queste cose.

QUASI DI SICURO sono cresciuti con la certezza di un’Europa dai confini permeabili, hanno studiato in una città diversa da quella in cui sono nati, o forse hanno solo cambiato casa per inseguire un lavoro migliore. «Quando sono arrivato a Londra non conoscevo nessuno e non avevo niente da fare di sera e nei weekend» racconta Andrew, 31 anni, nato in Nuova Zelanda e arrivato a Londra otto anni fa per lavorare come ingegnere informatico. «Un’amica americana mi suggerì di cercare un posto dove facessero contra dance (danze di tradizione inglese, scozzese e francese composte da lunghe file di persone, nda) e mi sono ritrovato in mezzo a un paio di gruppi celtici. È stato così che ho conosciuto l’Inter-Varsity Folk Dance Festival, un festival che si tiene ogni anno in un posto diverso del Regno Unito, dove ho imparato a ballare in coppia diversi stili del nord Europa, e alla fine sono approdato all’On Bouge e alla Soas French Folk Dance society, fino al gruppo londinese delle mazurke clandestine che si riunisce all’aperto sui palchetti per le orchestre di Hyde Park e Northampton Square». Una storia a sé nel più complesso universo del balfolk, quella delle mazurke klandestine, nate in Italia quando a Milano una sera del 2008, alcuni appassionati usciti da un concerto e non ancora stanchi, hanno acceso lo stereo di una macchina e hanno iniziato a ballare in un parcheggio. «Ci sono gruppi di klandestine ormai in moltissime città italiane e anche in alcune città europee» racconta Ilaria, 36 anni, accompagnatrice turistica e insegnante di lingue a Roma «ed è bellissimo vedere come sulle piste e nelle piazze si creino amicizie anche tra persone di città lontane, come ci si offra ospitalità reciproca in occasione degli eventi da una parte all’altra del paese: la gente viaggia, si incontra, balla e si sente in famiglia da Palermo a Torino, da Napoli a Venezia».

ALLA FUNZIONE aggregativa delle danze popolari, le klandestine aggiungono un elemento del tutto particolare che le contraddistingue: si danza di notte fino al mattino, e lo si fa senza chiedere l’autorizzazione, con l’intenzione di «riappropriarsi di spazi urbani generalmente belli e noti, interessati di giorno dalla frenesia della modernità» spiega Ilaria, che è anche nel collettivo delle Danze di Piazza Vittorio, dove oltre alle danze francesi, si balla il popolare del centro e sud Italia. Non tutti però hanno un gruppo fisso, sono i luoghi a fare da riferimento. «A Praga semplicemente ci incontriamo di tanto in tanto davanti al Centro dei congressi, quando fa molto freddo ci spostiamo nei pub. C’è chi è sempre presente, ma ogni volta c’è gente nuova» dice Martin, 37 anni, arrivato in città da Moravská Trebová per lavorare nel settore dell’IT. «A volte anche qui facciamo mazurke clandestine, come pure ce ne sono a Berlino e a Varsavia, ma sono completamente diverse da quelle che si fanno in Italia, non solo perché sono meno popolate, ma anche perché qui fa troppo freddo per ballare all’aperto fino all’alba, parliamo di temperature che arrivano a meno quindici gradi. Ma non è solo questo, gli italiani hanno un modo particolare di gestire lo spazio: le prese sono molto strette, i corpi molto vicini anche se le due persone non si sono mai incontrate prima. È qualcosa di impensabile da queste parti, in Belgio addirittura si dice che tra il tuo corpo e quello dell’altro devi lasciare lo spazio per Gesù, è una cosa su cui scherziamo spesso».

C’È CHI SI MUOVE di città in città inseguendo eventi e festival per tutta Europa e nell’attesa mette a disposizione una casa, un giardino, si dà appuntamento per una serata all’aperto, in una sala al chiuso a seconda del tempo metereologico, contribuendo a tracciare una mappa sentimentale e collettiva, itinerante e mai definitiva. «A Londra prima ci incontravamo al Leadenhall Market, adesso una volta al mese ci incontriamo al Primrose Hill community centre, in una stanza con il pavimento di legno» spiega Andrew. «Il London Balfolk organizza danze più volte all’anno in diversi punti della città, ultimamente soprattutto nella hall della Chiesa Battista di Heath Street e all’Exmouth Market Centre, dove ci si incontra di solito anche per danzare il tango, lo swing, il blues e il forrò». Ci sono gruppi di persone che danzano a Łódź, Wrocław, Varsavia, Cracovia, Poznan, conferma Maciej, 30 anni, Filmmaker di Varsavia: «Qui ogni settimana ci incontriamo al Numinosum’s Hut, una piccola struttura che ospita un centro culturale, e una volta ogni due l’Owlsome Balfolk team organizza danze con la musica dal vivo. Due volte all’anno ci sono il Lovembal e il Balfolk festival, entrambi al coperto. E poi c’è il Numinosum, un festival all’aperto a cui prendono parte circa duecento persone. Ovviamente ci sono anche mazurke clandestine all’aperto in diversi punti della città». Nell’intervallo tra una mazurka e un valzer, tra un festival e una serata improvvisata, si parla, si fa amicizia, ci s’innamora, si condividono idee o semplicemente ci si dimentica dopo l’ultimo giro. La costante è una soltanto, e ha il carattere di una resistenza: tutti contribuiscono a un vissuto non consumabile, per cui non si paga un biglietto. Secondo Clara, 22 anni, studentessa di architettura a Berlino, nonostante sia ancora un fenomeno dai tratti «familiari e intimi» quello delle danze di strada ha le caratteristiche di un movimento, perché ogni volta che accade da qualche parte coinvolge persone sempre nuove che non possono fare a meno di portarne altre con sé la volta successiva. «D’inverno per ballare ci incontriamo a Pankow (un distretto di Berlino, nda) in un centro per i giovani» racconta «d’estate invece si danza all’aperto, il posto più frequente è un cortile di fronte al museo Kollonaden e un parco di Pankow». C’è chi a storie come queste ha dedicato un film, è il caso di Laetitia Carton con Le grand bal, documentario uscito lo scorso autunno e dedicato al festival di Gennetines, che da ventisette anni riunisce a luglio migliaia di persone da tutta Europa a danzare nella campagna francese. «Dopo averlo guardato una domenica di dicembre» racconta Clara «siamo usciti fuori e ci siamo fermati a ballare con la musica dal vivo dentro una stazione della metropolitana di Berlino».