Si presenta con il suo pallore lunare e opalino, Stoya, ospite della diciottesima edizione del triestino Science + Fiction Festival, porno-star del North Carolina con origini serbe, molto lontana dai cliché. Testa fina, penna agguerrita ma gentile prestata ad alcune fra le testate internazionali più quotate («The New York Times», «The Guardian», «Vice» e molte altre). Arguta, disinvolta, filiforme, senza mai un’ombra di trucco addosso, è intervenuta a Trieste in duplice veste: per presentare il volume che porta la sua firma Philosophy, Pussycats & Porn e per accompagnare l’anteprima italiana di Ederlezi Rising, esordio alla regia del serbo Lazar Bodroža, in cui Stoya interpreta una bella androide di nome Nimani. Prima dell’intervista stabilisce, con ferma cortesia, poche condivisibili regole: non si parla di #metoo, non si accenna a relazioni sentimentali del passato, niente domande su eventuali scandali connessi ad abusi sessuali. Tradotto, significa che eventuali domande sullo scambio infuocato di tweet avvenuto con l’ex fidanzato James Deen (anche lui stella del porno, ndr), sono al bando. Poco male. . .

Stoya, lei sembra fare ogni sforzo possibile per evitare di essere etichettata, per sfuggire ai pregiudizi e ai cliché. Anche se è attiva nel campo della difesa dei diritti delle donne e, in particolare, delle sex workers, rifiuta di essere definita una «femminista». Tantomeno rispecchia lo stereotipo dell’icona del porno. Look acqua e sapone, niente smalto, niente silicone. Chi è davvero Stoya?

Direi che la mia è una personalità ferina e felina. Se mi si provoca tiro fuori le unghie. Ma ovviamente, di base, sono una persona pacifica e molto curiosa. Sono iscritta al partito democratico, ma l’ideologia in cui amo riconoscermi è un misto di conservatorismo e di anarchia progressista. Faccio attivismo a modo mio. Mi occupo di politica, combatto, quando attorno a me vedo ingiustizie, se gente della mia comunità è in pericolo per colpa di decisioni sbagliate calate dall’alto. Ma sono e resto una pornografa. E, fondamentalmente, io mi sento un gatto. Sono un gatto randagio.

Cosa l’ha convinta ad accettare per la prima volta un ruolo in un film non hard? Aveva già ricevuto proposte al di fuori del porno?

Ne avevo ricevute diverse ma i ruoli offerti erano cose come «la spogliarellista n.3», «la prostituta n.6». Francamente non mi interessavano. Finisci per diventare una brutta copia di te stessa. La prima proposta interessante che ho ricevuto mi è arrivata qualche anno fa da Maja Milos per il suo film Clip (Tiger Award nel 2012 all’International Film Festival di Rotterdam, ndr). Ma ero impegnata in altre cose e alcuni vincoli contrattuali mi hanno impedito di prendervi parte. Cose tipiche del sistema capitalistico americano. Ma quando Lazar, attraverso un amico fotografo comune, mi ha proposto il ruolo di Nimani non ho esitato. Solo a sentire parlare di «fantascienza serba» mi sono sentita catturata.

Per costruire il suo personaggio si è ispirata a qualche androide femminile che l’ha preceduta? Ava (Ex Machina), Joi (Blade Runner 2049), Maria (Metropolis)…

No, anzi, non volevo farmi influenzare e finire per ricalcare un modello. La verità è che io non ho una formazione attoriale, ho esperienza nella danza, e il porno mi ha insegnato a stare davanti a una macchina da presa. Ma non ho un background da attrice e non ho fatto scuole. Quindi mi sono affidata completamente ai suggerimenti di Lazar. Mi hanno aiutato molto le ambientazioni e i costumi, che mi obbligavano a mantenere una certa postura a muovermi in un certo modo. Quando recitavo nuda, infatti, dovevo ricordarmi di quella particolare postura, per continuare a sentirmi un robot.

«Ederlezi Rising» racconta il viaggio spaziale su Alpha centauri di un astronauta molto macho e della bella androide che lo accompagna. Lo considera un film sulle relazioni tra umani e cyborg o tra uomini e donne?

Credo una delle domande fondamentali che il film pone sia questa: anche in futuro, nelle relazioni con i cyborg, gli uomini commetteranno gli stessi errori di comportamento che oggi commettono con le donne?

Di cosa parla il suo libro?

È una raccolta di saggi, articoli del NYT di cui ho ottenuto il permesso per la pubblicazione, pensieri e altre libere riflessioni su cosa significa, oggi, essere sex worker e pornografa in America.

E cosa significa, oggi, essere sex worker e pornografa in America?

È ancora da stabilire. Perché stiamo cominciando solo ora, sotto le pressioni dell’amministrazione Trump, a uscire dall’ombra e a schierarci in prima linea. Anche altre colleghe hanno scritto romanzi, sono diventate opinioniste, hanno cominciato a parlare pubblicamente delle loro esperienze. Ci troviamo in una fase cruciale dalla quale speriamo di uscire con maggiore consapevolezza per comprendere ciò che siamo al di là del nostro lavoro. Speriamo in un mondo migliore, ma al tempo stesso temiamo che il prossimo bersaglio, dopo musulmani o transgender, potremmo essere noi.