Luigi Ananìa è scrittore e produce vino. I suoi racconti sembrano non voler mettere ordine al caos, così come invece vuole fare tanta letteratura. Sembrano invece essere percorsi, sentieri, vie all’interno del caos dell’esistenza che ci circonda e che ci penetra. Strade da percorrere sapendo che non ci sono vie d’uscita ma soltanto vie, che la realtà sta nel viaggio, non nel punto d’arrivo. Scrivere, e leggere, è allora un po’ come bere: non si apre una buona bottiglia di vino per finirla il più velocemente possibile, ma per gustarla, esattamente come la buona scrittura. Non si tratta, allora, di mettere punti fermi, di arrivare a una conclusione. Del resto qualcuno, già da tanto tempo ci aveva avvertito che «la vita non conclude».

LUNGO LE STRADE della scrittura di Ananìa si incontrano gioia, speranza, malinconia e anche sarcasmo, dolore, angoscia. Insomma un po’ tutte le tonalità della vita. Come conferma la sua ultima raccolta di racconti, intitolata Storie di volti e di parole, uscita per DeriveApprodi (pp. 126, euro 14). Lo scrittore che fa vino non ne è l’unico autore. Il volume infatti è firmato anche da Nicola Boccianti, psichiatra e psicoterapeuta, il quale, oltre ad aver partecipato alla stesura di uno dei racconti, interviene, alla fine di quasi tutte le sezioni in cui è diviso il libro analizzando una serie di parole – tempo, autenticità, arte e poi raccontare, rappresentazione, resilienza, infine empatia, padre, trattativa – dal punto di vista semantico, storico, psicologico. Si crea così un sottile gioco di rimandi, di risonanze tra i racconti e le disamine di alcuni termini evidentemente fondamentali.

Quasi un gioco di specchi tra letteratura e analisi, arte e cultura. Un gioco che viene rafforzato dalla scrittura dei racconti, in cui non è difficile rintracciare rimandi a varie e diverse esperienze artistiche e culturali. Una scrittura densa, personale, lontana dallo stile standardizzato tanto in uso oggi. All’interno della quale non è difficile, per esempio, sentire echi della pittura espressionista o dell’arte di Chagall, oppure della poesia di Edgar Lee Master – si veda l’incipit di Camminando sui rilievi – o ancora figure e personaggi che ricordano alcune canzoni di Fabrizio De André.

ALL’INTERVENTO analitico di Nicola Boccianti si sottrae l’ultima sezione, intitolata L’angelo, la più personale, in cui Luigi Ananìa racconta attraverso alcuni sogni «il dolore di una perdita», quella della sua compagna. L’autore ci dice di averlo fatto per preservare «la purezza onirica» di tali resoconti. E chi legge si rende conto perfettamente che non c’era in effetti bisogno di aggiungere alcunché a questi racconti, tale è la forza, l’empatia che riescono a comunicare.

Da rimarcare, infine, la splendida prefazione di Siverio Novelli il quale, oltre a delineare un quadro estremamente vivido della maniera di raccontare di Ananìa, è riuscito a coniare la definizione forse più appropriata dell’autore, ovvero: «un autore che scrive libri pericolosi».