Che cosa significa raccontare? La cosa può forse suonare come una domanda banale ma senza dubbio rappresenta una domanda essenziale che si deve porre chi fa e vede un certo tipo di cinema, ogni volta. E credo che Olmo Cerri, regista svizzero del film documentario Non ho l’età (2017), se la sia posta, consciamente o meno, quando ha realizzato questo suo lavoro che si potrà vedere al Working Title Film Festival – in rete, www.workingtitlefilmfestival.it – il 27 aprile, alle ore 19, al Ridotto del Teatro Comunale di Vicenza.

L’argomento del film in questione è l’immigrazione italiana in Svizzera, tema principale che è stato elaborato attraverso una strategia particolare, su cui vale la pena soffermarsi.

Non sono solo canzonette

Per chi guarda e ascolta, tutto comincia con il titolo che sì, rimanda proprio alla canzone cantata da Gigliola Cinquetti, pezzo che vinse Sanremo nel 1964.

Ora, senza scomodare grandi filosofi che hanno parlato di canzonette, il caso Cinquetti ha dato il la ha qualcosa che, da noi, brilla di luce propria. Bisogna ricordare infatti che la cantante divenne un idolo tale da ricevere un oceano di lettere da parte di ammiratori in Italia e all’estero, lettere conservate oggi al Museo Storico di Trento come materiale per una antropologia della scrittura e della memoria – in merito, e per saperne di più, c’è una pubblicazione importante, Scrivere agli idoli, a cura di Anna Iuso e Quinto Antonelli (2007).

Per Cerri e tutta la squadra la scoperta di queste lettere invece avviene attraverso un altro lavoro accademico, quello di Daniela Delmenico, la quale ha studiato storicamente l’immigrazione italiana all’estero proprio attraverso l’archivio conservato a Trento. Da qui in poi, la ricerca alla base del film si è focalizzata su una scelta ridotta alle lettere di poche persone. Come si legge dal sito dedicato al film, si tratta di materiale in cui, oltre alle manifestazioni d’affetto, hanno trovato «le difficoltà della vita da migrante, le frustrazioni ma anche le gioie, le difficoltà quotidiane e i momenti di evasione, le malattie e i problemi pratici ed economici.»

Memoria sociale, immigrazione, temi

Il film è costruito a partire dalle lettere alla Cinquetti che riconducono a cinque persone: Carmela; Maria e Gabriella; Lorella; Don Gregorio. Sono italiane arrivate in Svizzera a metà degli anni Sessanta, in un clima politico dove, per dire, c’erano figure come James Schwarzenbach, il politico della destra sociale che viene ricordato per una serie di referendum contro l’«inforestierimento» della Svizzera (drastica limitazione degli stranieri, di cui allora la maggior parte era italiana).

Carmela, Maria e Gabriella, Lorella, Don Gregorio non si conoscono, né li vediamo incontrarsi durante il film. Cerri li mostra, li segue, li ascolta, li osserva ma tiene i loro spazi separati. Tuttavia, come anticipato, le loro esperienze risultano avere tratti in comune. Formano senza dubbio una vera e propria memoria sociale, dove il quadro familiare delle loro vite si fa sineddoche di quello culturale e politico – di quell’Italia; di quella Svizzera; della relazione tra questi Stati.

Per ognuna di queste persone il film articola una narrazione la cui forma sembra idealmente tendere alla tecnica antropologica della storia di vita, attraverso cui sono i dettagli apparentemente secondari a delineare il quadro generale. Alla fine, questo approccio offre una comprensione molto ricca di un fenomeno come quello dell’immigrazione tra Italia e Svizzera, in cui lo schema delle varianti e invarianti, tra passato e presente, sembra rimanere lo stesso. Per esempio: il film racconta di come diverse scelte individuali abbiamo portato a diverse fortune economiche (le storie delle tre donne); ma allo stesso tempo suggerisce anche altro. Cioè che l’immigrazione, al di là di essere una necessità, rimane sempre percepita come un diritto (una costante in tutti i casi, ma molto accentuata in quello di Don Gregorio).

C’è poi un ultimo punto da considerare: i temi che le narrazioni delle storie di vita del film mettono in luce. Senza troppe forzature, si potrebbe dire che c’è materia da grande letteratura, come solo la realtà sa dare. Penso soprattutto alla storia di Lorella, al suo coraggio e alla sua vita da frontaliera che l’ha resa in grado di sopravvivere e di aver la forza di poter ricominciare, nonostante le avversità. Oppure, penso alla questione dell’identità nazionale. Essere italiani, essere svizzeri? Si tratta di un qualcosa a cui, per esempio, Don Gregorio e Gabriella rispondono in modo diverso, suggerendo come – in entrambi i loro casi – ci sia (stata) una riflessione particolarmente sentita. Ma di temi ce ne sono altri, senza alcun dubbio, grazie anche alla sensibilità di Cerri – al suo lasciar parlare la verità del momento; alla sua sintesi che lascia aperte tracce e questioni, senza accomodamento.