Tornano i Radiodervish, e nel nome del «sangue e sale» che impregna le coste di un mare che dovrebbe essere «nostrum», nel senso di appartenere a tutte le genti che di lì transitano, e invece è ridotto a pronome possessivo di idolatri sciocchi dei confini. Tornano i Radiodervish, ed è un vero piacere ascoltare il passo quieto e forte, di un’eleganza spesso vertiginosa, di quelle storie che accartocciano in un’unica fabula tante lingue diverse.

La voce di Nabil Salameh fa transitare il profumo mediterraneo speziato di tabacco e vermentino di De André, la passione di Ferré, l’assolata insularità dell’angelo Andrea Parodi. E odori di spezie, di retsina, di acqua di pozzo. La musica pulsa su archi melodici scanditi e pur sempre misurati, si rinnova il piccolo miracolo di un «common ground» musicale che forse bisognerebbe definire «common sea». Un album realizzato attraverso il crowfunding: ovvero quando l’unione fa la forza. Mediterranea.