«Ci sono storie complicate dietro qualsiasi ribellione e a volte ci sono anche storie inconfessabili, anni di rapporti collusivi, amicizie spericolate». Una vertità nota a Nino Amadore, ne I Sovversivi (Laterza, pp. 143, euro 12). Sovversivo, nelle terre della criminalità organizzata, è chi va contro il sistema, chi non nasconde la testa sotto la sabbia. Le loro storie meritano di essere raccontate al pari dei malavitosi che occupano la scena mediatica. Nino Amadore vuole andare controcorrente, come i suoi sovversivi, per spiegare che sono loro i veri protagonisti. Perché, come recita il sottotitolo del libro, «In terra di mafia la normalità è rivoluzione». Capitolo dopo capitolo ci si imbatte in un meraviglioso corteo di umanità che, in modi diversi, combatte quotidianamente per avere un’«esistenza giusta».
La prima parte è dedicata ai sindaci coraggiosi, e spesso sconosciuti ai più, che cercano di affermare la legge. Ci sono i librai, pilastri della cultura, perché la cultura è civiltà e la civiltà è un nemico della mafia. Ci sono i piccoli imprenditori, che cercano di andare oltre le intimidazioni subite: c’è chi ce la fa e chi deve chiudere, ma sceglie comunque di non restare in silenzio. Ci sono perfino i professionisti, gli onesti, i collusi e anche i pentiti, in una strenua lotta quotidiana che spesso vede magistrati indagare su loro colleghi. Non mancano i preti virtuosi, i giudici instancabili, le scuole con decine di ragazzi che cercano di liberarsi dal marchio d’infamia dei padri o dalla traccia della povertà.
Questo è il libro delle storie che non trovano spazio sui giornali perché sono quelle che non fanno notizia. Eppure Amadore intuisce che, per dare alla gente il coraggio di ribellarsi, è giusto far sapere che ci sono persone che lottano e talvolta vincono la loro battaglia.
Il libro tuttavia non si perde in sentimentalismi o falsi moralismi, la scrittura è secca, coincisa e veloce, l’autore fa sentire la sua vena giornalistica. In tutti i fatti raccontati, nessuno nasconde che si possa anche morire, che ci siano magistrati e sindaci a braccetto con i clan malavitosi o che molte scuole vengano vandalizzate da teppisti o dagli stessi mafiosi. Ma l’autore non si sofferma molto su questa faccia della medaglia e la sua scelta è giustificata, perché il lato oscuro è fin troppo pubblicizzato, il prediletto dai media, l’unico che la gente conosce. Quello di Amadore invece è infatti un libro di controinformazione che, se da una parte vuole rendere giustizia a tutti i sovversivi d’Italia, dall’altra cerca anche di andare contro gli allarmismi che alimentano il potere di Cosa Nostra, fondato proprio sulla paura della povera gente.
Molto interessanti sono il prologo e la conclusione, che generalmente sono dedicati alle osservazioni dell’autore o a una presentazione del libro. Ma Amadore è un autore sui generis, preferisce che a parlare siano i fatti e dedica sia prologo che conclusione e due vicende diverse dalle altre. La prima, quella di Valeria, è il racconto di un’imprenditrice costretta a chiudere la sua palestra; sembrerebbe la storia di una sconfitta, in realtà è una vittoria mascherata sotto altre vesti, perché la donna non solo ha aiutato una scuola in difficoltà regalando tutti gli attrezzi della palestra, ma si è impegnata politicamente e socialmente per cambiare la situazione.
L’ultima storia è quella di Giacomo, avvocato che ha deciso di prendere la redini di un’azienda confiscata alla mafia; la Conca d’oro caffè è oggi una cooperativa e continua ad andare avanti nonostante le mille difficoltà. La scelta curiosa di queste due storie, due vittorie particolari, dà la traccia al libro: il prologo parla di come superare le difficoltà, anche dopo un fallimento, che sembrerebbe un punto di non ritorno e invece è solo una tappa; le conclusioni sono dedicate alla rinascita di un’azienda, perché ci può essere redenzione anche dopo essere stati immersi nella melma.