Quattro donne. Una donna. Quattro diverse stagioni della vita. In un tempo indefinito. Di segno proustiano, moltiplicato, non lineare, illogico, evanescente. Il titolo originale è Orpheline, ma in sala arriva come Quattro vite, un racconto di identità spezzate, interrotte e più volte riprese. Come a volte, forse, capita davvero. Magari più spesso di quanto immaginiamo. In fondo chi siamo? Possiamo affermare di essere, oggi, la stessa persona che eravamo a sei anni? A tredici? A venti?

NEL PRESENTE Adèle Haenel è Renée. Un’insegnante in fuga dal passato. Amata, cerca assieme al suo uomo di avere un figlio. Ma dal passato non si scappa. Assieme a una donna misteriosa, Tara, dark lady uscita di prigione con dei conti da regolare, riaffiorano una alla volta anche Sandra, Karine e Kiki. Donne diverse, la stessa donna. Sandra (Adèle Exarchopoulos) è una ventenne disoccupata e alla ricerca di sé, Karine (Solène Rigot) una tredicenne ribelle con un padre violento, Kiki una bambina sfiorata dalla tragedia. In ognuna di loro vi sono indizi della futura Renée, in comune la sete di vita e di amore, l’abbandono, la violenza, un mondo maschile a dettare le regole. L’innocenza e la colpa.

Il regista Arnaud des Pallières abbraccia il cinema di genere e quello d’autore. In Quattro vite costruisce un prismatico racconto di formazione che si contamina spesso nel noir, un noir concettuale, filosofico, dove alle vicende di un singolare romanzo criminale (declinato tutto al femminile) si intrecciano gli interrogativi sull’identità, il tempo, il destino. Quanto ci segnano le esperienze vissute? Quanto pesa una perdita? E il terrore di non essere amate? In che modo questi eventi, gli incontri, le cadute, gli sbagli, sono in grado di determinare le nostre scelte, di indirizzare il presente e futuro (nostro e di chi ci circonda)?

«QUATTRO VITE» semina più domande che risposte. È evidente che al regista interessi osservare il processo di trasformazione, la metamorfosi, un percorso mai concluso e in perenne divenire, teso più all’ascolto dei battiti del cuore che obbediente alle severe regole della logica. Negli occhi impauriti di Kiki c’è la disperata sfrontatezza di Karine e il disorientamento di Sandra. Ma chi è Renée oggi? Quattro donne, tutte le donne. Des Pallières, con sensibilità assai poco comune, sa girare dalla parte di queste, evidenziando, ad esempio, quanto sia sottile il margine di libertà che ne sottende le scelte, anche quelle che possono apparire come libertarie o sovversive, troppo spesso condizionate dal bisogno d’amore. Persino nel finale, in un gesto disperato facilmente interpretabile come estremo atto di autoaffermazione, pesa invece l’affanno di un’esistenza condannata.