Non è sempre felice il genere dei libri che parlano di libri, ma non è il caso dell’ultimo lavoro di Paolo di Paolo, Vite che sono la tua, appena uscito da Laterza (pp.213, euro 16), che è invece fresco, originale, pieno di passione e di sapienza affabulatrice.
L’archetipo calviniano delle Lezioni americane sbuca continuamente, ma senza infastidire, in queste 27 passeggiate per la grande narrativa occidentale, e non lo fa soltanto per gli intrecci di romanzi che si apparentano, di storie che si rincorrono, ma anche per la sorvegliata disciplina della struttura, divisa in tanti capitoli quanti sono gli anni di lettura autonoma dello scrittore, ciascuno con una sottorubrica, e un titolo con un verbo all’infinito. Contraintes necessarie, in effetti, per contenere l’enorme dote letteraria di un lettore bulimico ed empatico fin dall’infanzia come Di Paolo entro i limiti di un libro per tutti, capace di incontrare un pubblico variegato per età e formazione culturale.

Bello il prologo Per Ninni, dedicato all’anziana amica lettrice che ha introdotto l’autore al mondo delle parole, con regali e scambi durati, come nei migliori romanzi, fino alla morte della signora.
Il titolo del libro richiama esplicitamente l’intenso Vite che non sono la mia, di Emmanuel Carrère, ma «vita» è proprio una parola dipaoliana, se questo autore trentaquattrenne la usa per la seconda volta in un titolo della sua concentrata e matura bibliografia, dopo Mandami tanta vita, l’inattuale e poetica storia di Piero e Ada Gobetti, finalista allo Strega 2013.
Vite che sono la tua è un’autobiografia dello scrittore da giovane, nella quale la lettura è il tassello fondamentale per la costruzione di un’idea di realtà ancorata alla critica e alla concretezza proprio perché nutrita dello slancio utopico del romanzo. Le vite si sovrappongono, i personaggi, i luoghi, le parole si moltiplicano in una continua ricerca di senso che solo grazie alla relazione dei libri fra loro e dei libri con chi li legge diventa esistenza, sentimento, esperienza. Bisogna riportare sempre qualcosa da un romanzo, come da un viaggio, scrive Paolo di Paolo: «un’intuizione, una cosa che ignoravi. A volte anche solo una visione o un gesto. Altre volte una storia che somiglia alla tua».

Da Raskolnikov a Jane Eyre, da Tom Sawyer a Nunziatella, questo canone non normativo e non testamentario, e perciò godibilissimo, propone uno scavo prima di tutto nel mondo dei libri di ciascun lettore, di ciascuna lettrice. Il libro si può percorrere in tutte le direzioni, con passaggi liberi fra i capitoli, salti e ritorni. E non si pone il problema di chi c’è e chi non c’e fra i grandi capolavori, ma attraversa sinuosamente lo spazio di una memoria sincronica e adolescente nella quale i libri sono sensazioni, linguaggi, avventure in cui identificarsi, attraverso cui scoprirsi.
La favorita di Di Paolo, se si può dire di una biblioteca ideale sempre in movimento, è L’educazione sentimentale di Flaubert, a riprova della preziosa magia infantile che attraversa l’intero volume. Ma se l’amato Tabucchi è rappresentato da Pereira, un’assenza incuriosisce, quella della scrittrice – mentore Dacia Maraini. Perché? Delle vite e dei libri non si può sapere tutto.