Il presidente colombiano Juan Manuel Santos e il capo della guerriglia delle Forze armate rivoluzionarie di Colombia (Farc), Rodolfo Londoño “Timoshenko” seduti ai due lati del presidente Raúl Castro, la firma e lo scambio dei documenti per l’accordo di cessate il fuoco bilaterale e definitivo. E’ questa l’immagine storica dell’inizio della fine del più lungo (più di 50 anni) e sanguinoso (300.000 tra morti e dispersi quasi sette milioni di rifugiati) conflitto armato dell’America latina deciso ieri nel palazzo delle Convenzioni dell’Avana.

Un vero e proprio trattato di pace, con il quale le Farc decidono di cessare la guerriglia e il governo colombiano dà una serie di garanzie militari e politiche, raggiunto dopo quasi quattro anni di trattative condotte all’Avana, con la mediazione di Cuba e della Norvegia. E con il sostegno della diplomazia internazionale soprattutto dell’intera America latina. Come confermava ieri l’immagine della sala del palazzo delle Convenzioni dove, ad assistere alla firma dell’accordo, erano riuniti il presidente cubano Raúl Castro e il ministro degli esteri norvegese Borge Brende, in rappresentanza dei due paesi “garanti” e il vertice della diplomazia mondiale, con il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon (che in precedenza aveva incontrato Timoshenko) assistito dai presidenti del Consiglio di sicurezza e dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite assieme ai presidenti degli “stati accompagnanti” il processo di pace, Michelle Bachelet per il Cile e Nicolás Maduro per il Venezuela.

Per confermare l’enorme importanza dell’accordo per tutto il continente americano erano anche presenti il delegato speciale degli Stati Uniti per il processo di pace, Bernie Aronson, e dell’Unione europea, Eamon Gilmore, accompagnati dal presidente della Repubblica dominicana (presidente di turno della Comunità degli stati latinoamericani e del Caribe, Celac), Danilo Medina, e il presidente di San Salvador, Salvador Sánchez Cerén.

Nella grande sala, di fronte ai leader delle varie delegazioni, è stata data lettura degli accordi siglati dalle due parti, che oltre alla fine degli scontri armati e di tutte le ostilità comprendono anche una sorta “mappa” per rendere operativo e confermare il cessate il fuoco e per dare garanzie di sicurezza sia alla guerriglia dopo il disarmo, sia ai membri dei movimenti di difesa dei diritti umani, di non essere oggetto di attacchi da parte di quelle «strutture criminali e delle loro reti di appoggio» considerati i successori dei gruppi paramilitari appoggiati dall’ex presidente Uribe, che si è opposto al processo di pace e che anche martedì ha reagito con scetticismo nei confronti dell’accordo raggiunto dal presidente e suo ex ministro della difesa Santos. Ancora vivo in Colombia è il ricordo del massacro dei membri dell’Unione patriottica attuato negli anni Ottanta del secolo scorso da parte dei gruppi paramilitari: i quali, secondo le Farc, sono ancora operanti in 14 gruppi attivi in 22 dipartimenti e 146 municipi della Colombia .

Il quinto punto degli accordi, tra i più discussi, riguarda la definizione dei luoghi di concentrazione dei guerriglieri dove saranno oggetti di controllo da parte della missione politica delle Nazioni unite che dovrà verificare l’attuazione del cessate il fuoco. Le Farc avevano proposto 85 zone. Alla fine, anche tenendo conto delle capacità della missione Onu, è stato deciso che si limiteranno a 22 zone «territoriali e transitorie» e 8 accampamenti dove si concentreranno i guerriglieri. Le zone saranno soggette a un monitoraggio tripartito, composto da membri delle Farc, da rappresentanti del governo e della speciale commissione Onu che dovrà essere composta soprattutto da latinoamericani.

Un altro importante punto degli accordi prevede il cronogramma della consegna delle armi da parte delle Farc, che saranno nella loro totalità prese in carico dai rappresentanti Onu secondo un’agenda ben definita e saranno poi utilizzati per la costruzione di tre monumenti nazionali. Parte di questo punto comprende le garanzie per la sicurezza delle Farc e la trasformazione della guerriglia in partito politico che partecipi alla vita istituzionale. Il processo dovrebbe concludersi entro fine anno, e non prevede una marcia indietro, ha affermato Raúl Castro. «L’accordo di pace – ha continuato- è un esempio per milioni di persone del pianeta per le quali il principale obiettivo è la sopravvienza della specie… Cuba come paese garante continuerà a impegnarsi perché il processo di pace possa continuare e conludersi».