L’articolo 11 della Costituzione – dovrebbe interessare al neopresidente della repubblica – ci chiama alla mobilitazione. È già un clima di guerra, infatti, l’abnorme mobilitazione degli apparati militari. È guerra la simulazione politica di un presunto conflitto per la libertà combattuto interamente in terra europea su pressione Usa.

In realtà, in queste ore, si discute molto del gasdotto Nord Stream 2 e del sistema finanziario Swift. La Nato, pochi mesi fa diagnosticata da Macron in «morte cerebrale», ritrova un primato. L’assembramento militare ai confini della Russia rischia di provocare una reazione. Tutti i blocchi militari si armano: i complessi militar/industriali accumulano profitti.

E i governi europei? La Germania tentenna: non si può permettere un’altra «operazione Barbarossa» d’infelice memoria non solo per Germania e Russia. Il governo Draghi, invece, oltre al basso profilo diplomatico dispiega tutto il suo oltranzismo transatlantico; giungendo, perfino, a ordinare marcia indietro alle aziende di Stato per il loro antico rapporto economico con la Russia.

Eppure il governo italiano dovrebbe mostrare la dignità di essere sensibile al principio internazionale che vincola alla funzione centrale di «neutralismo attivo» il nostro paese che è stato invasore dell’Unione Sovietica nella Seconda guerra mondiale. Le vicende drammatiche di queste ore mi richiamano alla mente la prefazione che ho scritto, nel 2016, all’importante libro di Silvio Marconi Donbass, i neri fili della memoria rimossa. Ucraina, una guerra dimenticata, rimossa.

Il 30 giugno 1941 Hitler accetta la pressante proposta di Mussolini di partecipare all’aggressione, con l’obiettivo di saccheggio e sfruttamento delle risorse. È nel Donbass che il Corpo di spedizione italiano opera; esso supporta l’azione nazista contro Odessa. Come documenta Marconi, la centunesima Flottiglia Mas, comandata da Mimbelli, partecipa all’assedio di Sebastopoli.

Dal dicembre 1941 si riorganizza duramente l’azione antipartigiana; lo storico tedesco Schlemmer sottolinea: «La volontà di combattere i partigiani non venne meno neanche dopo i drammatici avvenimenti dell’inverno del 1942/43; anzi, in alcuni casi, la sete di vendetta spinge gli italiani ad intensificare le attività antipartigiane». Potrei continuare.

L’Italia, insomma, è storicamente parte in causa. Così come è stato rimosso il racconto delle truppe coloniali italiane in Africa, è stata del tutto rimossa la ferocia delle italiche truppe in Ucraina. «Italiani brava gente», ricordava Angelo Del Boca: la rimozione storica assume perfino la forma di un immaginario collettivo fondato sulla mistificazione di presunte ragioni ideologiche, religiose, etniche, nazional-scioviniste.

Sotto il comando militare nazista, sul fronte russo-ucraino, vi furono le truppe italiane con precisi compiti di repressione della resistenza partigiana, di massacro di ebrei e rom, ma anche di conquista permanente e di uso del territorio come «fecondo granaio italiano», nelle parole di Mussolini. La rimozione diventa strumentale alla «ragion di Stato».

Ma il passato della guerra in Ucraina si collega con il presente di quel Paese di 44 milioni di persone. Con le bande paramilitari ucraine d’estrema destra impiegate nella pulizia etnica anti-russa o in azioni di particolare ferocia con il rogo della Casa dei Sindacati ad Odessa il 2 maggio 2014, nel quale morirono bruciate vive almeno 48 persone – un crimine impunito e dimenticato dalla Ue. Basti ricordare il famigerato battaglione Azov, collaborazionista, con radici esplicitamente naziste, a cui si richiamano, oggi, esponenti di rilievo del governo di Kiev.

È prevalsa la rimozione totale. Anche dei crimini più gravi: stragismo, omicidi di massa per motivi etnici, deportazioni di massa per motivi politici. Un ricordo personale: ho fatto parte, in Parlamento, della Commissione Bicamerale d’inchiesta sui cosiddetti «armadi della vergogna»: c’erano le stragi in Ucraina insieme a Marzabotto, S. Anna di Stazzema, ecc. Come sappiamo, densa nebbia è caduta.

Come ci spiegarono esplicitamente, interrogati dalla Commissione, i ministri Taviani ed Andreotti, «ragion di Stato» e «guerra fredda» avevano indotto alla rimozione. Credo che il governo italiano possa svolgere una funzione di distensione, se non si fa strumento delle ragioni della guerra. Ritiri le navi da guerra dislocate nel Mar Nero e gli stormi dei jet militari nel Baltico. Rilanci gli accordi di Minsk: la Russia rinunzi a pretese su Paesi che erano parte dell’Urss; ma i Paesi europei siano garanti che quei Paesi non aderiscano alla Nato. Si affacci di nuovo la diplomazia.