La casa dei pionieri americani era fatta di tronchi, una capanna, come quella del porcellino di mezzo saggio ma non troppo. Era la Log Cabin e spesso era al centro, oltre che dei progetti di conquista e avanzamento nel wild west, anche dei disegni decorativi dei quilt, le coperte americane fatte con pezze di stoffa diverse, giustapposte con apparente casualità. La capanna, intesa come motivo ornamentale, è stata poi sostituita dalla home, la casetta e quindi da una serie di soggetti diversi attorniati da costellazioni di figure geometriche che ricordano le pieghe della carta degli origami. Il quilt ha anche una deriva nipponica, nella tradizione tessile dei dirimpettai d’oltre oceano Pacifico. Al centro del pattern sono finiti anche, negli anni, soggetti celebrativi di vicende sociali e politiche del Paese, episodi delle Guerre di Indipendenza o della Guerra di Secessione, la figura di Martha Washington: la coperta con funzione di gazzetta.

Più che semplici trapunte si tratta di quadri fatti di tessuto, da appendere a mo’ di arazzo: nelle capanne delle origini la funzione era anche quella di isolante a terra e alle pareti, come il moderno cappotto edilizio da pagare con l’ecobonus. Qualcosa di simile al quilt è stato rinvenuto nei corredi funebri di antichi egizi, parliamo di 3400 prima di Cristo, indiani e cinesi e sembra che le coperte istoriate siano approdate nell’Europa medioevale, in Italia e Sud della Francia, a mezzo soliti crociati.

I Legami
La tradizione americana della trapunta, e della sua realizzazione corale, ha vissuto un revival nell’ultimo decennio negli States, un po’ come accaduto a inizio anni Duemila al lavoro a maglia coi ferri, per la sua capacità aggregativa: si può lavorare allo stesso quilt o stare insieme e badare ciascuno alla propria coperta: attaccare la pezza è ed è stata la cifra del quilt bee, la riunione di quilters, momento di connessione, nelle famiglie dei pionieri, tra donne di fattorie distanti.

E continua ad esserlo, specie oggi e specie nei mesi in cui l’emergenza ha imposto di ingannare il tempo casalingo e con attività manuali e ricreative. Negli Stati Uniti ci sono abituati: mettere miglia e miglia tra gli affetti, a volta l’oceano, in andirivieni tra Vecchio e Nuovo Mondo è sempre stata la norma. Dall’Irlanda, che ha il patchwork nel paesaggio e nel cielo, viene uno dei motivi più belli delle coperte, la «Irish Chain» (Catena Irlandese). Nell’ultimo anno e mezzo il quilt, molto più di un lavoro di cucito, in certi casi ha rappresentato la connessione prima della fibra. Ci sono madri e figlie lontane che hanno portato avanti la stessa trapunta, aspettando il momento di ricongiungere scampoli di stoffe ed esistenze, lavorando attorno allo stesso motivo familiare. Anche nell’Europa anglofona il fare trapunte ha offerto spunti meditativi per affrontare ansia, dolore e insieme avviare costruzioni narrative.

I capi feticcio
Oltre al tema del soggetto, che davvero si sviluppa sulla coperta come un plot e cambia con la società e il contesto storico, c’è quello del materiale. La trapunta condensa le storie di famiglia: per la sua fabbricazione capita che si utilizzino capi feticcio di recupero: abiti appartenuti a chi non c’è più, vestito di laurea, coperte delle culle. Un recupero materico e affettivo molto in linea con le moderne di istanza di circular economy e transizioni sostenibili.

Uno speciale rito di confezionamento del quilt è quello riferito alla coperta destinata al corredo della sposa caratterizzata da soggetti decorativi specifici spesso ricavati da episodi biblici (La Rosa di Sharon, un versetto del Cantico dei Cantici, La scala di Giacobbe o la Veste di Giuseppe) e oggetti d’uso quotidiano (cesti e recipienti ).

Amish
La vicenda dà titolo e spunto al film diretto da Jocelyn Moorhouse nel 1995 How to do an American quilt protagonista Winona Rider alle prese con la tesi in antropologia sull’artigianato femminile e un’estate di rivelazioni attorno al circolo del quilt di nonna e zie. Rituale particolarmente radicato nelle comunità Amish dove prendere parte alla preparazione del quilt sanciva l’ingresso delle ragazze nel mondo delle donne adulte.

Artiste
Da occupazione smaccatamente e inesorabilmente muliebre l’arte della trapunta, per al sua carica di potenziale espressivo creativo, ha giocato il suo ruolo anche in vicende di liberazione femminile e riscatto da segregazione. È capitato a Harriet Powers, schiava nella Georgia rurale, oggi artista celebrata per le sue narrazioni su trapunta (storie locali ed episodi biblici) esposte al Smithsonian National Museum of American History , al Pictorial Quilt e al Museum of Fine Arts di Boston.

Faith Ringgold negli Anni Ottanta ha creato trapunte con motivi, prima dipinti su tessuto, ispirati a thangka tibetani e disegni africani, con precisa volontà di storytelling incentrata soprattutto sulla comunità di Harlem cui ha dedicato Street Story Quilt, esposto al MET di New York, trittico quilt composto da tre pezzi di tessuto trapuntato che l’artista ha dipinto con acrilico e impreziosito da paillettes e strisce di tessuto stampate e tinte. Ogni pannello rappresenta la stessa facciata di un edificio di Harlem in tre diversi momenti della storia del protagonista, la cui vicenda è raccontata negli scorci delle finestre della palazzina raffigurata.

Alabama
Altra quilt story importante quella fiorita attorno a Gee’s Bend, Boykin in Alabama, dove si trovava la piantagione di tal Joseph Gee, e i cui abitanti sono prevalentemente discendenti di schiavi; qui l’immaginazione delle quilters ha preso strade peculiari e portato una forza espressiva unica. Il modello compositivo preferito è quello dell’housetop, con rimandi visivi dal bordo al centro della coperta che rievoca la tecnica di «chiamata e risposta» afroamericana, rituale di musica e culto religioso. Quadrati, rombi ed esagoni si moltiplicano poi in modo quasi vertiginoso e spiazzando l’ordine e la simmetria, e si tingono di colori come tra cui «oro», «foglia di avocado», «mandarino» e «rosso ciliegia». Un tripudio creativo di potente anarchia in un mondo di isolata desolazione in bianco e nero che ne fanno quasi un capitolo a parte della storia dell’arte americana.

Codici segreti
La tradizione afroamericana del quilting, che mutua colori e tagli tribali nella realizzazione delle trapunte, finisce nell’epica della Underground Railroad, la rete di itinerari segreti utilizzata nel Diciannovesimo secolo dagli schiavi per fuggire negli Stati Liberi e in Canada con l’aiuto degli abolizionisti, e trascolora in leggenda. Che fosse vero o no, è significativo che si sia anche solo immaginato di usare le trapunte come bandiere tramite cui mandare segnali o mappe dove veicolare percorsi e informazioni attraverso un codice segreto di colori e simboli, oltre a soggetti ricorrenti combinati come in un rebus: la chiave inglese, la ruota del carpentiere, la zampa d’orso, le strade trasversali, la capanna di legno, il papillon, l’oca volante, il percorso dell’ubriacone, i blocchi di stelle.

Ci sono letteratura, anche per l’infanzia, e film sul tema (Hidden in Plain View: A Secret Story of Quilts and the Underground Railroad di Jacqueline L. Tobin e Raymond G. Dobard) e pochi mesi fa è andata in onda la prima stagione della serie, La ferrovia sotterranea (The Underground Railroad), creata da Barry Jenkins che ha adattato il romanzo scritto nel 2016 da Colson Whitehead.

Calore, comfort e una forma d’arte non solo per le donne: intervista a Stacy Murray

Stacy Murray è una quilter californiana, titolare con sua madre Michelle Strunka dell’«Old Town Quilt Shop di Santa Maria

Come sei diventata quilter?
Quello per il quilt è un amore recente ma che ha radici nel mio passato prossimo; mia madre ha iniziato a trapuntare quando i miei figli erano piccoli, faceva coperte per loro. Le ho sempre trovate belle ma senza che mi suscitassero voglia di realizzarne da me, non avevo alcun interesse per il cucito. Dopo 15 anni mia madre ha cambiato città e ha aperto un negozio di materiali per il quilting. Non aveva esperienza di vendita al dettaglio e mi ha chiamato per aiutarla a gestire il negozio. Ci siamo trasferiti anche noi da San Diego a Santa Maria, ho imparato a fare coperte anche io. Finita la prima era fatta, ero agganciata…

Chi sono i vostri quilter?
Gente di tutti i tipi, molti uomini. Quelli che frequentano il nostro negozio sono molto appassionati a tutte le fasi del processo di realizzazione: selezione dei tessuti, taglio, cucitura.
Alcuni sono sposati a donne quilter, per altri è un percorso autonomo.
Abbiamo una coppia che ha iniziato a frequentare un corso per principianti e sembra che si diverta insieme all’attività. A lei piace fare le trapunte e lui si diverte a fare borse che regala ai nipoti. Altre coppie lavorano insieme alla stessa coperta, altre si dividono base e decoro. Vediamo che è quasi terapeutico, come per certi ballare. I quilter realizzano trapunte per un sacco di motivi. La maggior parte inizia a farli per amici e familiari. Alcuni si dedicano solo alle trapunte artistiche. Altri li fanno solo per beneficenza; sono i Quilts of Valor (per veterani militari), quelli destinati a bambini in affido (da portare con sé quando si cambia casa), a bambini piccolissimi in terapia intensiva neonatale malati di Alzheimer (hanno applicazioni multisensoriali), ai pazienti oncologici, da tenere durante la terapie.

Come è cambiato il quilting nel tempo?
È iniziato per il bisogno primario che sta dietro al voler creare una coperta del genere: ottenere calore e comfort – e si è evoluto in quella che oggi è una forma d’arte. Esistono molti tipi di coperte quilt: classiche da letto, da parete, memory quilt, runner da tavola. In America, la tecnica tradizionale è ancora viva e vegeta, ma una sua nuova versione di quilting si sta facendo largo, e prevede ricorso a tessuti e tecniche diverse, diverso modo di trattarli. Nelle case dei quilter, le coperte vengono appese alle pareti al posto di dipinti o foto, sono arte
In America, la parola “quilting” evoca vecchiette sedute insieme che lavorano su una trapunta, aghi in mano, intente a cucire e parlare: ora in quel quadretto sono entrate le macchine da cucire e i maschi. Ci sono molti uomini, sia tra i quilters che tra i designer del tessile, e dato che il cervello maschile indubbiamente funziona in modo diverso da quello delle donne e gli uomini portano una prospettiva completamente nuova al quilting.

Sono cambiati anche i tessuti e i modelli?
Durante la Grande Depressione i quilt erano fatti di sacchi di farina, di facile reperimento; era un fenomeno così diffuso che alcune aziende ha prodotto per i sacchi packaging più decorati, colorati, piacevoli pensando già al loro riutilizzo tessile. I quilt «tradizionali» utilizzano modelli che esistono da sempre: la Log Cabin, o la Friendship Star, il Flower Basket e Flying Geese. Anche i colori sono cambiati: i modelli più antichi usano tinte più tenui e meno squillanti: come il blu, il marrone, il verde, i rossi più scuri e il giallo cheddar. I lavori più moderni hanno colori molto più accesi come il fucsia, il verde brillante, il rosso ciliegi e il viola. Tutto moderno l’uso di colori più sgargianti su sfondo bianco a tinta unita.
Negli Stati Uniti, gli stili variano da una zona all’altra. La maggior parte dei quilter della costa orientale e del Midwest tende a preferire disegni e colori più tradizionali, mentre i quilter della costa occidentale tendono a trapunte più moderne e luminose. Nelle comunità Amish (principalmente Midwest e East Coast) le trapunte sono ancora totalmente realizzate a mano.

Come ha influito in particolare la stagione pandemica?
Come accaduto in altri processi creativi anche quello del quilting ha trovato nel lockdown una stagione fertile. Chiusi in casa molti hanno lavorato al quilt per beneficenza, per dimenticare la follia del mondo o allontanare la noia. Come tutte le attività sociali anche il quilting si è spostato su zoom.
Sono creazioni che esprimono la personalità di chi le realizza ma anche, sempre, l’aria che tira.