Raccontare una storia che vada dalla fine dell’estate del 1947 al 2008 non è certamente un’impresa facile. E non tanto per l’estensione del periodo di tempo affrontato, ma per la quantità e la profondità dei cambiamenti sociali, economici, politici che si sono susseguiti in quei sessant’anni in Italia e nel mondo e che hanno completamente stravolto anche la maniera di vivere il quotidiano.
Affinché la sfida sia vinta ci vogliono uno o più punti di vista particolari, inusuali, anomali, una lingua e una scrittura che riescano a far presa sul lettore, una struttura solida e al tempo stesso assolutamente originale. Ci vuole insomma uno scrittore o una scrittrice di razza. E tale si rivela Silvia Cassioli che con Il figliolo della Terrora (Edizioni Exòrma, pp. 198, euro 15,50) riesce a offrire una visione di oltre sessant’anni di vita italiana, manovrando con abilità e freschezza personaggi, scrittura e struttura di un romanzo davvero rimarchevole.

L’AUTRICE, con leggerezza apparente, riesce a narrare i cambiamenti che il nostro paese, e non solo, ha attraversato. Lo fa seguendo la vita di Omero Bastreghi – il figliolo del titolo, nato nel luglio del 1948, lo stesso giorno dell’attentato a Togliatti – in pratica dal momento del suo concepimento fino al primo decennio del nuovo secolo. Figlio di un’operaia e di un meccanico, docente di filosofia all’università, Omero non è il vero protagonista del libro, o, almeno non ne è il solo. La sua storia è contenuta all’interno delle vicende di tre donne: la madre, la Terrora, la prima fidanzata, Giglia, la moglie, Viola. Non è che queste tre donne raccontino gli avvenimenti, anzi la narrazione è tutta in terza persona. È quasi come se fossero il centro pulsante delle tre macrosequenze in cui è diviso il libro, il fondamento ultimo degli avvenimenti.

TRE DONNE dal nome di fiore – la Terrora si chiama Rosina – ed estremamente diverse tra loro, ma dotate, ognuna, di una forza di tipo differente. La madre, Rosina Terrosi in Bastreghi, detta la Terrora, operaia al pelificio che concia peli di coniglio per Borsalino è una donna «tosta», sicura al centro delle lotte del dopoguerra. Giglia, studentessa alla fine degli anni Settanta, trasgressiva, «esercita sugli uomini un’attrazione magnetica». Viola, la sorella di Giglia che Omero sposerà, insegnante di italiano, figura materna, àncora, ma anche «stufa di poetesse e petrarchisti» quando «la storia corre da un’altra parte».

LA LINGUA OSCILLA tra l’italiano e il dialetto toscano nelle parti ambientate nella provincia senese, patria della Terrora e della famiglia di Omero. Questa alternanza assieme alla bravura stilistica della scrittrice contribuisce ulteriormente all’originalità del libro. Romanzo che proprio per queste caratteristiche sembra rispondere al titolo della collana in cui è inserito, ovvero «quisiscrivemale», laddove il riferimento è sia a un tipo di scrittura lontana che a quello stile neutro, senza nerbo e quasi interscambiabile, tipico di certa letteratura di successo «scritta bene». Un carattere questo quasi sveviano, laddove anche la scrittura, a dir poco inusuale per l’epoca, del triestino subì critiche a livello estetico. Del resto i possibili collegamenti tra Silvia Cassioli e Svevo non sono pochi, al di là del tipo di scrittura usata. Basti pensare all’ironia, alla struttura. E sembra essere una vera e propria citazione che Omero sposi la sorella della donna amata. Ma Il figliolo della Terrora è anche libro dal carattere intimamente politico sia per le scelte sugli eventi da far emergere nella narrazione, sia per la descrizione delle lotte, sia per la disamina del corrompersi e del declinare della politica a partire dagli anni Novanta del secolo scorso.