Non troppo lontano dalla grande stazione ferroviaria di Shinagawa in quel di Tokyo si trova il tempio Sengaku-ji della scuola dello zen Soto, tempio che è famoso per le tombe dei 47 ronin e del loro padrone e daimyo Asano Naganori, protagonisti di un episodio storico e leggendario fra i più conosciuti e celebrati nelle arti dell’arcipelago dal momento degli avvenimenti, gli inizi del diciottesimo secolo, fino ad oggi. Ogni anno il 14 dicembre nel tempio, con un festival in costume, si ricordano le gesta dei samurai senza padrone, ronin appunto, che nel 1703, decisero di vendicare con il sangue, anche se le versioni sono abbastanza disparate ma di questo scriveremo più avanti, l’onore del proprio daimyo deponendo la testa di Kira Yoshinaka, dopo averla lavata in un pozzo, sulla tomba dello stesso Asano. Tutto comincia nel 1701 quando ospite nel castello del maestro di cerimonie Kira e dopo essere stato offeso, Asano sguaina la spada, un gesto che quando perpetrato all’interno di un castello e verso un superiore era considerato contro la legge e punibile con la vita, per questo al daimyo viene offerta la soluzione migliore, quella cioè di togliersi la vita con onore tramite seppuku.

La morte del padrone oltre a colpire i familiari e la sua corte, sconvolge anche i suoi fedelissimi 47 samurai che decidono di far pagare cara la morte del proprio daimyo a Kira, prima però debbono aspettare che le acque si calmino un po’ e così passati due anni mettono in moto la loro vendetta.
Il 14 dicembre del 1703, questa è la data corrispondente nel nostro calendario o almeno quella che è stata designata e consegnata ai posteri, i ronin entrano nelle abitazioni di Kira, lo uccidono e una volta decapitato, come detto, ne portano la testa sulla tomba di Asano. Consumata la vendetta i samurai, placata l’ira e vendicato il padrone, si consegnano nelle mani delle autorità e sono costretti a compiere seppuku.

Gli avvenimenti storici si sono però, fin dai primi anni dopo l’accaduto, ibridati e confusi con la nebbia delle leggende e dei racconti proliferati sulle gesta e sulle motivazioni del gruppo di samurai. I 47 ronin erano in realtà 46, uno di loro si sarebbe infatti allontanato prima dell’assalto finale a Kira, ed il cuore stesso della storia come ci è stata tramandata attraverso i secoli e cioè come esempio supremo del bushido, semplificando, la via del guerriero, sarebbe in realtà assai diversa. Altre fonti dicono infatti che quello dalla parte del torto o almeno, colui che non era animato da intenzioni onorevoli, fosse in realtà proprio Asano stesso e che Kira non fosse quel malvagio personaggio che poi sarebbe diventato nei racconti, infine anche gli stessi ronin sembra non fossero in verità mossi per la loro vendetta da propositi molto onorevoli.

Ma al di là della sua veridicità ed anzi proprio in virtù della sua forza mitopoietica, questa storia, conosciuta nell’arcipelago nei suoi adattamenti teatrali e letterali come Chushingura, è stata capace di declinarsi, fin dal diciottesimo secolo, in un’immensa vastità di opere teatrali, rappresentazioni bunraku, spettacoli di marionette, kabuki e nel ventesimo secolo anche naturalmente in produzioni audiovisive. Fra gli innumerevoli lungometraggi e serie televisive prodotte, uno dei lavori tecnicamente più riusciti è sicuramente 47 Ronin, diretto nel 1941 da Kenji Mizoguchi, benché non sia scevro da contraddizioni dovute all’impeto nazionalista che ne permea la produzione, mentre ultimo in ordine di tempo e di qualità è l’orrenda versione fantasy del 2013 che vede Keanu Reeves fra i protagonisti.

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