Metti una sera a cena con un sassofonista inglese, Shabaka Hutchings, e un cantante/performer sudafricano, Siyabonga Mthembu, che hanno incrociato i percorsi delle varie diaspore nere nell’affascinante ensemble Shabaka&The Ancestors, sulla rotta Londra/Johannesburg. Una cena galeotta per il concepimento di Indaba Is, l’album collettivo pubblicato da Brownswood, affondo sul jazz sudafricano secondo una nuova generazione di musicisti, sulla falsariga di We Out Here sullo stato attuale del jazz inglese. In quest’opera di divulgazione Siyabonga Mthembu è affiancato dalla pianista Thandi Ntuli, per la curatela e la produzione di alcuni brani. Per rinsaldare il sentimento di stima, il leader dei The Brothers Moves On, propone nel disco una versione di un brano di Thandi Ntuli, Umthandazo Wamagenge che mostra come si può essere avanguardia restando in contatto con la tradizione.

INDABA È UNA PAROLA che in lingua zulu significa riunione, ma i due curatori intendono riferirsi, con questo titolo, al libro di Vusamazulu Credo Mutwa, Indaba my children. Prendendo spunto da questo classico della letteratura folclorica sudafricana, l’album vuole portare avanti l’idea che questa musica sia un prodotto della conoscenza indigena e mostrare che le giovani generazioni hanno imparato la lezione. Questo processo culturale sta particolarmente a cuore a Siyabonga Mthembu. «In questo progetto collettivo è stato importante per noi mostrare cosa potrebbe essere il jazz oggi. Non si tratta semplicemente di jazz sudafricano, ma piuttosto di una parte particolare di Joburg jazz (jazz di Johannesburg) e avant rock. Per noi è stato importante non soffermarci su ciò che il jazz è stato, ma come la tradizione si è evoluta andando avanti». Presenza ubiqua e collante delle esperienze più interessanti del momento, Shabaka Hutchings è anche uno dei convitati nel doppio album, Blue Note Re:imagined: un’altra operazione tesa ad aprire nuove prospettive alla tradizione jazzistica, permettendo alle grandi lezioni del passato di sopravvivere in forme più accessibili e popolari, portate avanti da ammiratori ed eredi. I giovani musicisti più brillanti e creativi trovano sempre un modo personale per accedere al cuore delle tradizioni musicali. Il trattamento riservato in questo disco alla musica di Herbie Hancock, Lee Morgan, McCoy Tyner, Wayne Shorter, Joe Henderson, Bobby Hutcherson, intende stravolgere il pregiudizio che il jazz sia una musica per vecchi.

«QUANDO MI HANNO invitata a partecipare a questo disco, Watermelon Man è la prima canzone a cui ho pensato. Herbie è un’icona e questa canzone è incredibile. Avevo timore che la sfida di competere con una canzone così epica fosse troppo grande, ma la passione sconfigge ogni paura. Ci tenevo a conservare il significato della canzone attraverso il testo, anche se ci siamo sbizzarriti con la produzione e la strumentazione». Dietro la sua patina elegante, Poppy Ajudha cela quasi sempre temi fortissimi. Non poteva perdere l’occasione di riflettere sulla storia violenta dei neri in rapporto con l’Occidente moderno, partendo dall’esistenza singolare del venditore di cocomeri, uno stereotipo del pregiudizio razziale nel South Side di Chicago negli anni Quaranta.
Si tratta di una generazione, per la maggior parte figlia di varie diaspore, cresciuta adorando gli standard del catalogo Blue Note, perciò il pregio di questo album risiede nell’abilità di questi musicisti di fare da ponte tra paesi diversi, mettendo assieme esperienze e tradizioni musicali differenti in una prospettiva culturale transnazionale.