È una sala arrampicata alla fine della salita della Garbatella, appena dietro il grande Palladium. Una capienza di appena 230 posti, poltroncine di velluto rosso: è il teatro Garbatella dove Francesco De Gregori ha deciso di organizzare questa sua rentreé fatta di venti date (28 febbraio-27 marzo) – tutte sold out in prevendita – per ripercorrere in versione acustica brani meno noti del suo repertorio senza escludere i classici imprescindibili. Accoglie amici e giornalisti alla prova generale, consegna la scaletta che cambia di sera in sera e si articola su un gruppo di 64 canzoni: «Una scaletta mobile – spiega – che cambierà a ogni data. Diciamo che il nucleo più o meno fisso è quello della parte finale, dove posso mettere Buonanotte fiorellino, Titanic, La donna cannone, Alice». Niente finirà su disco: lo dice anche il titolo dello show «Off the records» che vuol dire «non ufficiale» e letteralmente «fuori dalle registrazioni»: «Ma non ne avete abbastanza dei dieci dischi live che ho inciso finora? È una situazione che mi porta a pensare che ogni cosa debba iniziare e debba finire in maniera diversa ogni sera. C’è la voglia di scardinare i meccanismi di questo mestiere». Rifugge i paragoni con la «residence» a Broadway di Springsteen: «Ma non l’ho copiato, piuttosto ho copiato me stesso ai tempi di Folkstudio, quando Giancarlo Cesaroni (l’impresario dello storico locale capitolino, ndr) mi dava 500 lire per far casino con la chitarra all’ingresso e costringere la gente ad entrare. Voglio solo divertirmi e far divertire il pubblico».

INIZIA il concerto, occhiali scuri il cappellino in testa, prende il leggio e gigioneggia: «Perché la memoria qualche volta mi abbandona», ma lo utilizzerà pochissimo. Parte con Viva l’Italia e Ma che razza de città, quest’ultima scritta da Gianni Nebbiosi nel 1973. «Il principe» dice che non vuole parlare di politica o di Roma sfinita da tre anni di «cura» pentastellata ma ammette: «Certo che non è una scelta casuale accostarle, ma le conclusioni dovete trarle voi. Sono due pezzi non collegabili con l’attualità politica, però rivendico un sentimento di amore per questo paese e di speranza che possa in qualche modo migliorare».

NIENTE POLITICA? Ma le canzoni del cantautore romano trasudano «politica». È un concerto civile, pieno di conflitti in una scaletta ricca di contrapposizioni: c’è la Storia e la controstoria, passaggi di sofferenza e liriche struggenti. Risuonano le note de La guerra, Stelutis Alpinis, Condannato a morte, gli intrecci vocali e le armonizzazioni con le due coriste, e le traduzioni – rigorose ma con qualche licenza – da Dylan a cui quattro anni fa ha dedicato l’album Amore e furto: in Via della povertà, la sua versione in italiano di Desolation row, le «cartoline dell’impiccagione» sono diventate «cartoline del Ku Kux Klan». Classici: qualcuno nell’incontro subito dopo l’esibizione chiede cosa ne pensi della proposta leghista sulle «quote radio» da assegnare per legge alla musica tricolore, lui laconico risponde: «Mi è sembrata una stronzata, io non so cosa sarebbe stata la mia vita da musicista se non avessi potuto sentire da piccolo le canzoni straniere. Sarei favorevole se 1/3 venisse riservato alle mie (ride, ndr). Ma le radio non passano i miei pezzi, e nemmeno quelli di altri artisti come me e su questo bisogna interrogarsi».

SOTTO la bella scenografia messa a punto dall’artista campano Paolo Bini: «Un fondale luminoso – sottolinea De Gregori – che illumina un concerto che ha dei momenti di gravità..», i quattro musicisti/amici Guido Guglielminetti al basso e contrabbasso, Carlo Gaudiello al piano e tastiere, Paolo Giovenchi alle chitarre e Alessandro Valle alla pedal steel guitar e al mandolino insieme a due coriste. Ci saranno anche ospiti: «Verrà mio fratello (Luigi Grechi, ndr) ma non escludo che altri amici di passaggio a Roma possano farmi visita. Nella sera della prova, Viva l’Italia è intonata insieme al Coro popolare composto anche da ragazzi Down. Dialoga con il pubblico, «alziamo le luci, così vi vedo bene in faccia», scrive una nota a piè di scaletta nella quale – con ironia – si congratula con amici e spettatori che decideranno di non usare il cellulare all’interno del teatro: «Credo che da spettatore se avessi vicino uno che tutto il tempo filma e fa una foto mi darebbe molto fastidio». Gli «standard» arrivano sul finale di show: La leva calcistica della classe ’68, Generale, San Lorenzo si chiude su Rimmel ma prima c’è spazio per una delle perle più recenti di De Gregori, Il cuoco di Salò, dove gli ultimi giorni del fascismo vengono descritti da un personaggio ignaro, a digiuno di politiche e intrighi, quasi naif.

C’È SPAZIO per annunciare il tour estivo con l’orchestra, in cui proporrà i suoi successi in chiave sinfonica. Il via l’11 e 12 giugno a Caracalla: «Forse farò un live in studio con l’orchestra, se trovo la sala giusta. Ma tanto i dischi non vendono più. I discografici mi chiamano solo sotto natale per i greatest hits, ma se chiedo di fare un album di inediti mi dicono: se proprio insisti…».