La storia del suo esordio, benché qualche cautela sia d’obbligo nel crederle, non si direbbe molto diversa da quella di Jo March. Un racconto scritto di nascosto e altrettanto di nascosto sottoposto alla redazione di un giornale che lo pubblicherà suscitando l’incredulo orgoglio dell’autrice. Lo sfondo non è il Massachusetts della guerra di secessione, ma l’Ontario dei dominion. Con tutta probabilità Mazo Louise Roche, questo il suo vero nome prima che lo ritoccasse nel più aristocratico e androgino Mazo de la Roche, non compose il suo testo di debutto sfidando il gelo invernale di una soffitta abitata da graziosi topolini come la protagonista di Piccole donne, né lo consegnò di persona incappucciata come Jo fingendo di andare dal dentista. Il suo racconto la narratrice canadese, era nata a Newmarket nel 1879, lo spedì più comodamente al direttore di «Munsey’s», un allora molto noto mensile di New York, da qualche ufficio postale in prossimità di Jarvis Street, la strada elegante nel centro di Toronto dove abitava in quel periodo. A differenza di Jo se lo fece pagare cinquanta dollari e da riconoscente figlia unica pare che con quei soldi abbia comprato regali per ogni famigliare: la madre dalla salute fragilissima, il padre incapace di trovare un impiego stabile e mettere radici, la bionda cugina Caroline che le resterà accanto per tutta la vita. È il 1902. Lei ha ventitré anni, una evidente tendenza alla depressione, nebulose ambizioni creative. Dopo il college ha frequentato una scuola di musica e una d’arte, ha seguito corsi all’università. Decide che continuerà a scrivere racconti.

Il tema dell’identità nazionale
La raccolta d’esordio, Explorers of the Dawn, esce a New York da Knopf nel 1922. Saranno pubblicati da Macmillan i due romanzi Possession (1923) e Delight (1926). Benché l’editore stampi il secondo controvoglia, giudicandolo meno riuscito del primo, l’accoglienza della critica rimane incoraggiante. Il consenso del pubblico arriva tuttavia l’anno successivo con il terzo romanzo, Jalna, tradotto in italiano nel 1956 e adesso riproposto da Fazi nella nuova versione di Sabina Terziani («Le Strade», pp. 381, € 18,00). Composto nel 1926, pronto per andare in tipografia da Macmillan come i libri precedenti, Jalna viene spedito dattiloscritto dalla narratrice, chissà se per sfida o per curiosità, a un concorso per inediti bandito ogni anno dal mensile americano «Atlantic Monthly». Nella storia blasonata della rivista Mazo de la Roche non è soltanto il primo scrittore canadese, ma anche il primo scrittore donna a conquistare il premio: quella vittoria inaspettata accende un successo che diventerà esplosivo facendo deflagrare su entrambi i lati dell’oceano il nome finora sconosciuto dell’autrice. De la Roche ha quarantotto anni, dopo il padre è morta anche la madre, lei ormai si sente libera di avere l’esistenza che desidera. Mentre il romanzo esce a puntate su «Atlantic Monthly», sarà poi pubblicato in volume a New York da Little Brown, si moltiplicano i dinner in suo onore, le lecture e i party cui è costretta a presenziare, le sfibranti interviste che affronta imparando a nascondersi dietro un sorriso e a inventarsi una vita mai accaduta. Quando le chiederanno quale sia il suo hobby preferito risponderà con sovrana grazia «la privacy».
Non solo l’Ontario in cui è ambientata ma il Canada intero, così sensibile al tema dell’identità nazionale, si infiamma per questa storia di una tenuta che l’autrice ha plasmato in parte sulle proprie memorie famigliari, in parte sulle vicende di una antica dimora vicina al cottage in cui ora abita con Caroline nei dintorni di Mississagua. Anche la fittizia Jalna, come la reale Benares, è stata costruita da un ufficiale britannico, il capitano Philip Whiteoak, che insieme alla bellissima moglie Adeline ha scelto di darle il nome della città indiana in cui aveva prestato servizio prima di stabilirsi in Canada. Per quanto il romanzo si svolga entro un arco di tempo limitato, dalla primavera 1924 all’estate 1925, la casa da cui prende il titolo, sua vera protagonista più della famiglia che la abita, sembra immaginata per accogliere una storia che possa espandersi più a lungo. Tra sequel e prequel la narratrice dedicherà alle vicende di Jalna altri quindici romanzi, l’ultimo firmato nel 1960: inventa così per il suo pubblico e per gli Whiteoak una saga che estendendosi dal 1854 al 1954 si dipana attraverso un secolo intero. Nove milioni di copie vendute, quasi duecento edizioni in inglese e cento in altre lingue, una riduzione teatrale nel 1936 permetteranno a Mazo de la Roche e a Caroline Clement di condurre una vita agiata. Viaggeranno spesso anche in Europa e metteranno su casa in Devon oltre che in Ontario. Realizzando un desiderio impensabile per l’epoca, poiché entrambe sono nubili, nell’Inghilterra degli anni trenta adotteranno insieme due bambini.
«Mi spazientiscono gli scrittori capaci di sostenere che tutte le loro opere sono composte in uno spasimo dell’anima. Questa creazione agonizzante mi sembra sempre insincera perché, in verità, la scrittura creativa è una delle occupazioni più gradevoli. È esigente, spesso estenuante. Richiede allo scrittore di dare tutto quello che ha dentro di sé. Deve credere ai suoi personaggi se vuole convincere il pubblico a credere in lui. Quello di cui ha bisogno il narratore, la prima, l’ultima e ogni volta – è un pubblico. L’interesse del pubblico è il soffio costante che ventila il fuoco della sua capacità creativa. Non sarà certo il suo “spasimare” a creare un pubblico per lui». Così scriveva Mazo de la Roche in Ringing the Changes, la molto blindata, lacunosa autobiografia apparsa nel 1957, quattro anni prima della morte.

Un’architettura legnosa
Ma cosa racconta al suo pubblico, il cui interesse l’autrice non dimenticò mai di blandire, questo romanzo sostenuto da un’architettura legnosa, composto nello stile impaziente di chi insegue una trama, punteggiato da tavole imbandite e rurali paesaggi indispensabili per prendere fiato? A quale personaggio dovrà credere il lettore che guadagnando le ultime pagine di Jalna colleziona in un colpo solo il centesimo compleanno di Adeline, la fuga repentina di Eden, la partenza ormai certa di Alayne dopo un matrimonio durato pochi mesi, il viaggio di nozze di Maurice così improvviso benché abbia atteso quasi vent’anni la sua innamorata? Ha scritto l’autrice che l’idea di Jalna è nata con Renny e Meg, i nipoti più grandi di Adeline, due Whiteoak purosangue e dunque tra i protagonisti principali dell’intreccio. Ma cosa sappiamo noi di questi due fratelli? Soltanto che lui ama i cavalli e lei finge di digiunare, lui è uno sciupafemmine e lei invece ha mandato a monte il proprio matrimonio. Gli abitanti di Jalna noi non riusciamo a vederli, le loro azioni scorrono sotto i nostri occhi, le loro parole risuonano dentro le nostre orecchie senza che ci sia possibile scrutare in fondo al loro cuore. Chi è davvero l’inquieto Finch, chi Phaesant la selvaggia, chi l’onesto Piers? Non lo sappiamo. Reale non è che la grande casa i cui pavimenti scricchiolano sotto i loro passi, viva è Jalna dove tutti credono di trovare un riparo ma che accogliendoli piuttosto li cattura, inghiotte le loro esistenze come un ventre vorace e oscuro. Soprattutto le esistenze femminili, tenute prigioniere da antichi pregiudizi, schiave di lontani conformismi. Libera fu la vita che Mazo de la Roche riuscì a costruire per sé. In questo suo così fortunato romanzo la libertà somiglia tuttavia al vetro opaco e piatto di una finestra chiusa.