Uno dei risultati più importanti di C17 è stato porre l’attenzione sulle declinazioni della categoria di comunismo, tanto come ideologia quanto sistema politico storicamente realizzato. Nell’appuntamento romano, Enzo Traverso, in particolare, ha parlato di come i partiti comunisti dell’Europa occidentale abbiano assunto, nei fatti, una funzione storica che oggi definiremmo «socialdemocratica». Per approfondire vale la pena leggere il libro firmato da Michele Di Donato, I comunisti italiani e la sinistra europea. Il Pci e i rapporti con le socialdemocrazie (1964-1984) (Carocci).
Fondato su un lavoro di ricerca archivistica di scala europea, questo lavoro si inserisce nel dibattito storiografico più recente sulla dimensione internazionale della politica comunista, in particolare della segreteria Berlinguer: tra la ricerca di una «riforma del comunismo» e il procedere dell’«europeizzazione della sua agenda politica».

LA RICOSTRUZIONE prende le mosse dagli anni della crisi del centro-sinistra in Italia e dell’avvio dell’Ostpolitik di Willy Brandt. Impegnata lungo la «via italiana al socialismo», la segreteria di Longo è alla ricerca di una relazione più solida con i partiti dell’Internazionale socialista, in particolare con l’Spd. Se nel discorso pubblico i due interlocutori marcano le rispettive (e inconciliabili) differenze di collocazione, negli incontri riservati non mancano i punti di contatto, per esempio nella critica alla cornice stabilita dal Patto Atlantico e alla guerra nel Vietnam.
Si tratta di un percorso che conoscerà numerose battute d’arresto, a partire dalla repressione di Praga del 1968 e (paradossalmente) dalla nascita del governo Brandt. Negli anni Settanta, con i governi a guida socialista di Kreisky in Austria e Palme in Svezia, il Pci di Berlinguer è di nuovo alla ricerca di sponde internazionali e osserva con interesse il progetto dell’Union de la gauche di Mitterrand. Nel 1973 Berlinguer lancia lo slogan per «un’Europa né antisovietica né antiamericana». Tre anni dopo prende il via l’esperienza dell’eurocomunismo.
Le pagine più dense del libro sono dedicate proprio al passaggio del 1976. È questo infatti anche l’anno dello scontro tra Mitterrand e Schmidt sulla collaborazione con i partiti comunisti dell’Europa meridionale. Per quanto riguarda la politica italiana, la proposta del «compromesso storico» e i risultati favorevoli delle elezioni politiche vengono osservati con fiducia dai socialisti svedesi ma non convincono i tedeschi e il Labour Party.

L’AVVIO DELLA STAGIONE della «solidarietà nazionale» contribuisce alla rapida crisi della scommessa eurocomunista e anche la spinta europeista del Pci sembra esaurirsi nell’opposizione al Sistema monetario europeo. La battaglia sugli euromissili da un lato e l’invasione dell’Afghanistan dall’altro sono eventi che confermano le oscillazioni nelle relazioni tra il partito e quei settori del socialismo europeo che confidano ancora in una rottura dei comunisti italiani con il blocco sovietico. Nel 1981 dopo i fatti di Polonia Berlinguer dichiara finita la «spinta propulsiva» della Rivoluzione d’ottobre, ma come emerge dai documenti analizzati da Di Donato, nonostante le attenzioni di Mitterrand, la discrepanza tra le aspettative dei socialisti e l’iniziativa soggettiva del Pci per uscire dall’isolamento si manifesta ancora una volta in tutta la sua complessità con notevoli problemi soprattutto nelle relazioni quell’Spd sul quale era stato fatto il maggiore investimento diplomatico.
L’ultimo slancio sarà con il Congresso di Colonia che porta alla sconfitta di Schmidt e al rafforzamento del fronte pacifista. Il Pci interpreta questa «svolta» come un sostegno decisivo alla «Terza via». «Eppure, la divisione della sinistra ancora nel 1984 non era cicatrizzata. Lo schema del Pci per superarla passava attraverso la valorizzazione di una “diversità” (interpretata entro specifici confini identitari e ideologici) ormai sempre meno feconda nella crisi dell’orizzonte comunista e il campo socialdemocratico diviso al suo interno dagli scontri dell’ultimo decennio non forniva più ai comunisti un polo d’attrazione».

LA STORIA di questo lungo e reciproco corteggiamento rivela dunque la distanza tra l’auto-rappresentazione del Pci e la percezione del suo discorso in una sinistra europea che si rivelerà negli anni sempre meno interessata al dialogo. Anche se rimane aperto il problema della valutazione che oggi possiamo dare della sua politica effettiva, il Pci era e intendeva rimanere un partito comunista e il progetto strategico volto a realizzare una connessione con le socialdemocrazie europee non avrebbe dato i frutti auspicati.