Marilena Petruccioli, operaia dal 1996 alla Perugina-Nestlè, ha sempre espresso le sue idee in maniera chiara e netta. Da delegata della rsu Fai-Cisl e come lavoratrice in un’azienda dov’è stata stabilizzata nel 2002 rinunciando a qualsiasi tipo di ricorso. Questo dice il sindacato. Queste idee le esprime anche su Facebook, l’agorà pubblica dove pubblica post, vignette e immagini divertenti, ma sempre con un significato politico.

Il 30 ottobre scorso si è espressa duramente sulla sua time-line. Ha denunciato di avere letto un «provvedimento disciplinare in cui il capo di questa azienda – e badate, non il proprietario, il padrone – ha usato un termine a dir poco vergognoso: COLLARE. Qualcuno dovrebbe fargli un ripassino dei principi che l’azienda per la quale lavora sbandiera ovunque. Il collare lo indossano i cani, non le persone. E certi personaggi che ricoprono certi ruoli dovrebbero stare attenti ai termini che usano in certi atti ufficiali». E poi l’affondo: «Sembrerebbe che ’sto personaggio occupi il parcheggio per invalidi quando si reca a rinforzare i muscoli. Peccato il cervello non ne trae beneficio. Disgustata». Quest’ultima affermazione è importante. Perché Marilena è portatrice di handicap, conseguenza di un grave infortunio subìto mentre lavorava in Perugina nel 1997. Da quel momento ha lavorato nel reparto Baci-Nocciole in una mansione considerata dal sindacato troppo pesante per le sue condizioni fisiche.

Il suo post è stato letto da molte persone. E poi è arrivata la reazione: l’azienda l’ha licenziata in tronco. Alla base sembra esserci un equivoco: «questa azienda» non si riferisce alla «sua» azienda. Per il segretario generale Fai-Cisl Umbria Dario Bruschi Marilena intendeva «una certa azienda», cioè un’altra. Fatto sta che il suo licenziamento avviene mentre si discute animatamente di abolizione dell’articolo 18 e di licenziamento per «giusta causa». E in poche ore il suo caso è diventato esplosivo. Per la Fai-Cisl si «mette in discussione la storia delle relazioni sindacali con il gruppo Nestlè». La mobilitazione è generale: domani in via Campo Marte a Perugia ci sarà una conferenza stampa e sono allo studio iniziative di protesta. È scattata subito un’interrogazione parlamentare. L’ha presentata Nicola Fratoianni, coordinatore nazionale Sel. «La giusta causa, secondo l’azienda – scrive Fratoianni – sarebbe un post su Facebook in cui la lavoratrice, senza nominare l’azienda stessa, si è opposta al comportamento di un caporeparto che avrebbe rimproverato un lavoratore dicendogli che per lui era necessario il collare».

Fratoianni alza il tiro e si domanda: «è questo il modello di corrette relazioni fra datori di lavoro e lavoratori che ci vuole consegnare il governo con il Jobs Act?». Uno dei provvedimenti minori, ma simbolicamente devastanti, è quello della (video)sorveglianza dei lavoratori. Da questo punto di vista, Facebook rappresenta il panottico globale dov’è possibile osservare l’evoluzione delle opinioni dei dipendenti. Un caso simile è già accaduto in provincia di Torino dove un dipendente di una società di servizi di contact center è stato licenziato dopo essersi sfogato contro i datori di lavoro sul proprio profilo.

Marilena Petruccioli ha ricevuto una lettera di contestazione quindici giorni fa. La scorsa settimana ha presentato le sue controdeduzioni spiegando che il suo post non era riferito alla Nestlè. Ieri nella cassetta della posta ha trovato la lettera di licenziamento.