Quella di Lea Garofalo è una delle storie di criminalità più efferate uscite dalla cronaca degli ultimi anni. Compagna di un affiliato della ’ndrangheta, padre di sua figlia Denise, finita sotto protezione quando decide di denunciare gli affari illeciti dell’uomo e della sua famiglia. La donna scompare nel nulla a Milano il 24 novembre 2009. Solo grazie al coraggio della ragazza – e alla testimonianza di un pentito – il corpo della donna verrà ritrovato tre anni dopo, e il compagno e i complici – autori del delitto – condannati all’ergastolo. Denise ora vive sotto protezione speciale.

Una vera tragedia greca su cui Marco Tullio Giordana ha impostato i novanta minuti di Lea, il film tv che ha aperto ieri la nona edizione del Roma Fiction Fest e che andrà in onda su Rai 1 il 18 novembre. Girato in sei settimane, produzione Rai e Angelo Barbagallo con l’Associazione produttori tv e la fondazione cinema per Roma, è un film nato grazie anche alla fattiva collaborazione con Libera e con Don Ciotti: «Fanno un lavoro straordinario – sottolinea Giordana – perché l’unico terreno su cui le mafie non sono preparate è proprio quello culturale che sottovalutano. Si preoccupano di giudici, carcere pensando che libri e film siano qualcosa di pittoresco. E non è così, perché poco per volta libri, film, lavoro nelle scuole formano una opinione che poi taglia l’erba e l’incendio mafioso». Lea è stato donato dalla Rai a Libera: «Sarà uno strumento di lavoro in più per l’associazione, perché è un film che entra nel pensiero e nelle coscienze», sottolinea Tinni Andreatta, direttore di Rai fiction.

Quindici anni fa il regista raccontava un’altra storia di mafia in 100 passi incentrata intorno alla figura di Peppino Impastato. Ma nel film trovano spazio anche i tentennamenti dei protettori di giustizia, le maglie strette e rigide della burocrazia: «Non è proprio così – spiega Giordana -, intanto lo stato non è quel blocco compatto come quando diciamo la chiesa o la Rai. Ci sono tante persone, tante teste, azioni e reazioni. E allora nel caso della storia di Lea c’è una parte dello stato che è stata impeccabile. Non voglio gettare la croce, in questa vicenda c’è un’attività investigativa all’altezza della situazione e una parte che non lo è stata. Non volevamo però essere reticenti, fare un santino né di Lea né degli eroi che hanno contribuito a scoprire quello che è successo».

Lea è interpretata da Vanessa Scalera (un passato in teatro e poi al cinema con Bellocchio, Moretti ed in tv nella serie Squadra antimafia): «È stato fatto un forte lavoro sui testi, sulla cronaca ma in realtà Marco mi ha chiesto di trasfigurare Lea e quindi ho pensato di rendere la recitazione molto istintiva».

Linda Caridi è Denise: «Ovviamente non sono potuta entrare in contatto con lei ma ho potuto visionare alcune interviste in cui il suo volto è oscurato e la voce modificata. Ho cercato di rendere il contrasto che c’è nella fragilità di una ragazza che si trova improvvisamente da sola dopo un infanzia di peregrinazioni e in contatto quotidiano con la violenza, percosse usura e quanto di tremendo gli accadeva intorno».

Una storia in cui non è stato modificato niente, unica libertà in fase di sceneggiatura quella di condensare in un solo processo i tre che realmente vennero celebrati: «Non ho toccato nulla – sottolinea il regista- perché è una vicenda straordinariamente piena di colpi di scena. Penso sarebbe stato difficile immaginare un film su un omicidio dove è coinvolto il ragazzo della figlia, che ha aiutato gli assassini a smembrare e bruciare il corpo. Tutto difficile da immaginare senza che nessuno si immagini in fase di sceneggiatura, ’ma questo è troppo’. Alla realtà qualche volta non crede nessuno ed invece è lì…».