A lungo l’immagine di Civita di Bagnoregio è stata legata all’idea della «città che muore», minacciata com’è dallo spopolamento del borgo e dalla sua esposizione ai fenomeni erosivi che ne mettono in pericolo la stessa salvaguardia fisica.

Da qualche tempo, però, sta cominciando ad emergere una narrazione molto diversa, che fa di Civita un «modello» da seguire per quegli amministratori che vogliano valorizzare il proprio territorio attraverso l’investimento nella filiera turistica. Ne sono testimonianza lampante il profluvio di dichiarazioni di numerosi esponenti politici, secondo i quali «Civita di Bagnoregio è la nostra star» (così l’ex ministro Franceschini), o piuttosto «una vera perla, la nostra perla» (Evelina Christillin, Presidente Ente Nazionale del Turismo). Lo stesso Matteo Renzi aveva già avuto modo di affermare che «il modello di Civita è un esempio per l’intera Italia», esaltando la capacità del sindaco Bigiotti di «mettere a frutto la bellezza del territorio» e di incrementare il numero dei turisti annui da 40mila a 800mila: insomma, una «crescita esaltante – sempre per usare le parole dell’ex premier – figlia di una combinazione attenta di comunicazione e storytelling», che tradotto significa accordi con le compagnie crocieristiche e sponsorizzazioni alle principali fiere turistiche mondiali.

Da città che muore a modello di governance territoriale, Civita ha dunque saputo inserirsi come meta di richiamo nel circuito dei flussi turistici internazionali, e questo grazie anche alla realizzazione di un progetto pilota di Airbnb destinato a fare scuola. Dall’anno scorso infatti il sindaco di Bagnoregio, sotto la cui amministrazione ricade il borgo, è stato il primo soggetto istituzionale a diventare host della piattaforma californiana. Come? Attraverso il recupero, con fondi americani, dell’ultimo spazio di proprietà pubblica presente a Civita, trasformato in Casa d’Artista e disponibile alla locazione a partire da 300 euro a notte (della tariffa speciale di 10 euro per sedicenti «artisti professionisti», tuttora pubblicizzata on-line, si perde ogni traccia nel momento in cui si cerchi di effettuare la prenotazione). Sull’onda del grande successo d’immagine derivante da questo primo accordo, Airbnb, col patrocinio di MiBACT e ANCI, ha così lanciato Borghi Italiani (Italian Villages), «un piano nazionale – si legge sul sito – per contribuire alla valorizzazione di questi luoghi e delle loro comunità». Sono ormai venti, uno per regione, i borghi che aderiscono al progetto, che ha come obiettivo quello di far crescere ulteriormente la riconversione dei territori della cosiddetta «Italia minore» nella direzione dell’albergo diffuso. Già oggi si calcola che il giro d’affari per la sola community Airbnb pesi, nelle aree rurali, 77,9 milioni annui; cifra destinata ad aumentare, per il vantaggio certamente dei tanti piccoli host locali che mettono a disposizione qualche stanza, ma soprattutto per il profitto dei grandi proprietari di immobili e, ovviamente, del Ceo dell’azienda di San Francisco, Joe Gebbia.

Sponsorizzato da quanti vedono il patrimonio disseminato lungo il nostro paese come la celebre «miniera d’oro» da sfruttare, (citiamo tra questi Francesco Rutelli, nuovo advisor di Airbnb in Italia, così come i tecnici che hanno stilato lo studio di settore sull’industria turistica di Cassa Depositi e Prestiti, in cui si tracciano le linee programmatiche attraverso cui l’attore pubblico dovrebbe attenersi per meglio valorizzare il proprio patrimonio), il «modello Civita» sembra dunque costituire l’annuncio di una riscoperta della ricchezza delle aree interne. Non è questione di poco conto, però, rilevare che per godere di questa ricchezza occorrerà pagare il biglietto, esattamente come accade già oggi per Civita di Bagnoregio.