All’entrata principale dell’Etihad Stadium di Manchester c’è la statua di un portiere in uscita bassa col pallone tra le mani, la targhetta recita «Bert Trautmann, City Legend 1923-2013», affettuoso omaggio a un eroe del football inglese anche se il difensore della porta dei Citizens ha fatto tutta la sua carriera al Maine Road, il vecchio impianto demolito nel 2004, ed era nato e cresciuto in Germania. Da qualche settimana è visibile in streaming su Now Tv e altre piattaforme, The Keeper (uscito in alcuni paesi come Trautmann), film anglotedesco del 2019, mai uscito nelle sale italiane, un affascinante biopic di 120 minuti ispirato alla storia vera del leggendario goalkeeper, diretto da Marcus Rosenmüller (che è stato calciatore semiprofessionista in Baviera).

La sua tormentata epopea doveva diventare un film già nel 2010 però problemi finanziari e produttivi hanno allungato i tempi a dismisura tanto che Trautmann non lo vedrà mai, morto da qualche anno nel suo buen retiro spagnolo. Però la sua fama è ancora molto viva, con libri e teatro, tra i tifosi del nord dell’Inghilterra che ricordano quel magnifico giocatore, insignito di tanti riconoscimenti. Una storia strabiliante, un bel film sul calcio con le azioni di gioco molto curate e credibili, con la freschezza visiva di raccontare l’innocenza del football povero anni ’50, quando ci si allenava col pallone contro il muro e le squadre erano dirette espressioni della comunità locale.

Nella Luftwaffe
Alto, biondo, occhi azzurri di ghiaccio, nato a Brema, convinto alfiere della gioventù hitleriana e sostenitore della razza ariana, volontario a 17 anni nell’esercito nazista e mandato sul fronte russo dove ottenne la Croce di Ferro per atti di eroismo, tornato sul versante occidentale da paracadutista della Luftwaffe Bernhard Carl Trautmann fu colpito durante un bombardamento degli Alleati e si salvò ma venne catturato, uno dei 90 superstiti di un reggimento di mille persone. Nella sua autobiografia ricorda di aver assistito a uno sterminio di massa in una foresta -uomini, donne e bambini trucidati in un fossato da un gruppo paramilitare delle SS – e di essere scappato via strisciando per non essere visto, insieme a un amico. Internato in un campo per prigionieri di guerra nel Lancashire, il ragazzo dal fisico asciutto deve fronteggiare l’ostilità dei militari britannici e anche quella dei suoi compagni nazisti irriducibili.

Gran parte del film prova a ricreare la vita povera della working class inglese nel dopoguerra, tra sigarette razionate e sale da ballo, economia agricola e gioventù proletaria con tinte sentimentali («mi vedi come un mostro ma io ero un soldato e ho fatto il mio dovere» si difende Bert) e a volte anche umoristiche («oggi mangiamo trippa e cipolle, scorreggeremo tutti come fanfare» dice la nonna).

Su tutto però il risentimento, l’odio verso i tedeschi, responsabili di tante morti e distruzioni anche nella provincia inglese coi loro raid aerei, durante la seconda guerra mondiale. Trautmann, per tutti Bert (interpretato da David Kross, il giovane Michael in The Reader) riesce ad emanciparsi dal pulire le latrine grazie alla bravura nel calcio. Per le sue doti straordinarie di portiere viene ingaggiato dalla squadra locale del St. Helens Town, tuttavia la popolazione del paese prova rancore per le sofferenze patite. A cambiare idea e a cadere nelle sue braccia diventandone la moglie, sarà proprio Margaret (Freya Mavor, già vista in Morto tra una settimana…), la figlia del proprietario Mister Jack Friar (John Henshaw, già presente in La parte degli angeli, gran tifoso dei Citizens come i fratelli Gallagher, Noel canta lo splendido tema dei titoli di coda, The Dying in the Light).

Il professionismo
La sua carriera avrà la svolta decisiva quando gli osservatori dei biancazzurri di Manchester lo scelgono come nuovo portiere nel 1949. Però la decisione non sarà facile. Una grande campagna di stampa e l’avversione del pubblico porteranno a violente contestazioni degli abbonati dei Citizens in ricordo dei lutti subiti solo pochi anni prima. La forte comunità ebraica lo boicotterà inizialmente ma poi sarà il rabbino Alexander Altmann (i cui genitori sono stati vittime dell’olocausto) a scrivere una lettera che placherà gli animi. «Nonostante le terribili crudeltà che abbiamo sofferto per mano della Germania, noi non proveremo a punire un individuo tedesco che non è colpevole diretto di questi crimini. Se è una persona a modo, non fa niente di male. Ogni caso deve essere giudicato per i suoi meriti individuali». Le minacce di morte continuarono per poco e il brillante portiere convinse presto gli spettatori della sua bravura sia per il senso del piazzamento e le parate ma anche per l’abilità nel rinviare il pallone, con le braccia principalmente e anche coi piedi, servendo i centrocampisti e riavviando l’azione.

Eroe di Wembley
Fino ad arrivare alla giornata eroica, il 5 maggio del 1956, finale di FA Cup tra Manchester e Birmingham, allo stadio di Wembley. I mancuniani stanno giocando benissimo e vincono 3-1 quando il portiere si infortuna gravemente in uno scontro di gioco, avventandosi sul pallone insieme con l’attaccante avversario Pete Murphy. Mancano 17 minuti, ai tempi, non erano previste le sostituzioni. Dopo diversi minuti a terra, inizialmente svenuto, il massaggiatore entra con secchio e spugna, il guardiano della porta venne rianimato con i sali e per tre volte non riesce a stare in piedi per il dolore al collo. Poi Trautmann riprende il suo posto tra i pali e sarà protagonista di un paio di interventi decisivi in quell’interminabile quarto d’ora. Alla premiazione il Duca di Edimburgo si accorge che il portiere del City non riesce a stare diritto col collo e cammina sbilenco. Le analisi dell’ospedale confermeranno la rottura di alcune vertebre cervicali, Bert aveva continuato a giocare col collo spezzato. Ci vollero parecchi mesi e un tutore per recuperare da quel grave infortunio. Indossò la maglia del Manchester City fino al 1964, totalizzando 545 presenze e alla sua partita d’addio (con belle immagini d’archivio in bianco e nero) convennero a Maine Road 60mila sostenitori entusiasti che si portarono a casa i pali e la rete della porta perché nessuno potesse «prendere il suo posto».

La sorte, però, non sarà dolce con Trautmann che perderà il figlio di 5 anni investito da un’auto, divorzierà dalla moglie e avrà un incarico dalla Federcalcio tedesca andando a insegnare football nei paesi africani e asiatici (ha allenato le nazionali di Birmania, Tanzania, Liberia e Pakistan) fino a ritirarsi e morire sul mare della Spagna.

«Quando iniziai la mia carriera qui – ha affermato il portiere sul sito del City – la gente non mi voleva accettare, mi boicottava ma poi cambiarono idea e io sarò per sempre grato a tutti loro per questo, chissà cosa sarebbe stato della mia vita se non fosse accaduto. Per me questo rimane il successo più grande. E lo devo ai tifosi, ai compagni di squadra, agli altri calciatori, a tutti quanti».
Una vicenda di colpa, redenzione e riconciliazione, con un profondo senso di umanità tanto che Trautmann sarà premiato come miglior giocatore della Prima Divisione nel 1956 e poi con l’Ordine dell’Impero Britannico per il suo contributo alle relazioni anglotedesche. Un grande tributo alla cultura europea, all’importanza dello sport che unisce le persone, al senso del dovere protestante e alla tolleranza inglese messa a dura prova in questi tempi amari di Brexit.