A dir poco un pasticcio. Il Ministero della Transizione ecologica «buca» la data del 30 settembre per la pubblicazione del Pitesai, il piano che dovrà definire dove e come trivellare in Italia. Il risultato, automatico perché previsto per legge e proprio per questo ampiamente prevedibile, è stato l’annullamento, da ieri 1 ottobre, degli effetti della moratoria decisa due anni dall’allora ministro dell’Ambiente Costa. Ripartiranno gli iter per nuovi pozzi di gas sulla terraferma e al largo delle coste italiane? Non si sa. Il Ministero sostiene a parole di «no». I verdi non ci credono e dicono che ripartirà tutto semplicemente perché lo prevede la legge. Le associazioni ambientaliste parlano prima di un «inaccettabile messaggio pro-fossili» e poi, di fronte alle rassicurazioni ministeriali, chiedono qualcosa che vada oltre le parole. In attesa di concretezza il Ministro Roberto Cingolani riesce a finire di nuovo in mezzo a furiose polemiche.

Tutto inizia questa estate, quando viene pubblicata la bozza del Pitesai, il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee. Un piano che nella sua prima stesura viene subito etichettato come «scatola vuota» da Legambiente, Wwf e Greenpeace. Non limita davvero l’estrazione di gas, non preserva tutte le aree marine ambientalmente di rilievo, non fissa una data per un futuro stop generalizzato alle estrazioni di combustibili fossili, anzi valorizza il gas. In tanti chiedono lumi, perché il piano è così fumoso da non essere compreso neppure dai tecnici delle Regioni e da chi di oil and gas se ne occupa di mestiere.

«Il Ministero quel piano non riuscirà mai ad approvarlo in tempo», dicono a fine agosto Legambiente, Wwf e Greenpeace. E siccome in caso di mancata approvazione entro il 30 settembre scatta la fine della moratoria, la richiesta è quella della proroga. Nessuna risposta, e si arriva a ieri, con un Pitesai ancora in attesa di discussione nella Conferenza Stato-Regioni (si parla di almeno due mesi di tempo) e una moratoria che per legge non c’è più. Contro Cingolani tuonano ecologisti e parlamentari.

Come il gruppo FacciamoEco di Rossella Muroni che parla di «forte delusione». A spiegare ci pensa lo staff del suo Ministero, che prima dice che non saranno autorizzate nuove attività mentre quelle già autorizzate in precedenza non partiranno comunque, perché nessuna società, ma questo è un parere del Mite, rischierà di investire in giacimenti senza la certezza che il Pitesai permetta poi il loro sfruttamento. Poi il Ministero spiega che non potrà esserci nessuna proroga della moratoria visto che quella è una competenza del Parlamento.

La risposta arriva dai Verdi di Agelo Bonelli e Eleonora Evi: «Il ministro deve sapere che qualunque società potrà chiedere di dichiarare illegale, presso i Tribunali, la legittimità del Pitesai in quanto approvato fuori dai termini previsti dalla legge. Non ci saremmo mai aspettati così tanta superficialità da parte di un Ministro della Repubblica».

Le dichiarazioni del Ministero sull’estensione del blocco alle trivelle «ci fanno piacere – dice Stefano Lenzi del Wwf – Ora però ci dica quale strumento pensa di usare per impedire gli effetti previsti dalle legge». Una sfida sulla concretezza dunque.

Cosa potrebbe succedere se le procedure andassero avanti nonostante le dichiarazioni di Cingolani lo si capisce dai numeri diffusi da Wwf, Legambiente e Greenpeace. Si parla di 5 istanze di permesso di prospezione potenzialmente pronte a ripartire; più 24 istanze di permesso di ricerca nel Canale di Sicilia, nel Golfo di Taranto e lungo le coste di di Marche, Abruzzo e Puglia. Poi c’è un’istanza di coltivazione nel Golfo di Venezia e 20 permessi di ricerca che coinvolgono tutto l’Adriatico da Venezia alla Sicilia. Infine c’è la terraferma: con 99 istanze che riguarderanno Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lombardia, Molise, Piemonte, Sicilia, Veneto e Marche.