Germania e Olanda sospenderanno i rimpatri dei rifugiati afghani. Quello che solo martedì sembrava essere un fronte compatto di Paesi puri e duri decisi a rispedire in Afghanistan decine di migliaia di profughi, si è rotto. Non molto per la verità. Dei sei Stati firmatari della lettera con cui si chiedeva alla Commissione europea di non sospendere i voli verso Kabul, sono solo due quelli che hanno scelto di fare marcia indietro mentre Austria, Danimarca, Belgio e Grecia restano nella loro posizione decisi a non cambiare idea nonostante l’avanzata dei talebani.

Il segnale comunque è chiaro, e sottolinea la gravità della situazione nel Paese asiatico anche se sia Olanda che Germania hanno tenuto a sottolineare come la sospensione sia solo temporanea. «I rimpatri riprenderanno non appena la situazione lo permetterà» ha assicurato il ministro dell’Interno tedesco Horst Seehofer. «Chi non ha diritto alla permanenza deve lasciare il Paese. Ma uno Stato costituzionale ha anche la responsabilità di garantire che i rimpatri non implichino un pericolo per le persone interessate». Sei mesi, invece, durerà la sospensione dei rimpatri forzati in Olanda. Il governo ha deciso anche di prolungare di un anno il periodo di decisione per i casi di asilo pendenti, che si allunga così a 21 mesi. Sicuramente sulla decisione hanno avuto un peso le numerose critiche ricevute anche da parti della coalizione di maggioranza alla lettera inviata alla Commissione europea.

Nonostante il fronte si sia rotto, resta però intatta la volontà di molti Stati di cambiare registro rispetto al passato nel trattamento dei profughi. Le scene viste nel 2015, con centinaia di cittadini che si mobilitavano all’arrivo di uomini, donne e bambini appartengono ormai al passato e nessuno, tra gli attuali leader europei, sembra sentirne la mancanza. Incentivare i rimpatri, anche se verso Paesi non certo in guerra come l’Afghanistan, è anzi la parola d’ordine del Patto su immigrazione a asilo varato a settembre del 2020 dalla Commissione Ue, ma intanto ogni Stato fa da solo. Esemplare il caso della Danimarca che ad aprile scorso ha deciso di non rinnovare più lo status di rifugiato ai siriani dopo che un rapporto ha definito Damasco e la sua provincia come «aree sicure». Una scelta definita «un precedente pericoloso» dagli avvocati che assistono i rifugiati e che adesso temono che la stessa decisione possa esser adottata anche da altri Paesi. Per questo i legali hanno deciso di portare il caso all’attenzione della Corte europea per i diritti umani.

Dal 2015 sono circa 570 mila gli afgani che hanno chiesto asilo nell’Unione europea, 44 mila solo lo scorso anno, facendo del Paese asiatico il secondo per provenienza di migranti nell’Ue. La partenza delle truppe occidentali dall’Afghanistan e la riconquista di molte città da parte dei talebani non ha fatto altro che spingere decine di migliaia di persone alla fuga. Chi in passato è riuscito a scappare adesso rischia di essere rispedito in una situazione di alto pericolo dove le possibilità di subire ritorsioni o addirittura di perdere la vita sono altissime. Non a caso i nove ambasciatori dei Paesi dell’Unione europea ancora presenti a Kabul hanno sconsigliato di effettuare i trasferimenti.

Della situazione in Afghanistan e dei rimpatri dei profughi si discuterà comunque il prossimo 18 agosto nel vertice straordinario dei ministri dell’Interno convocato per discutere della crisi al confine tra Lituania e Bielorussia.