ExtraTerrestre

Stop al consumo di suolo, prima che sia troppo tardi

Una malattia che debilita l’Italia e che, dopo aver cancellato buona parte della fascia costiera e reso irriconoscibili le aree interne, si sta ora propagando alle aree più pregiate del […]

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 19 luglio 2018

Una malattia che debilita l’Italia e che, dopo aver cancellato buona parte della fascia costiera e reso irriconoscibili le aree interne, si sta ora propagando alle aree più pregiate del Paese», così Donatella Bianchi, presidente del Wwf Italia, ha commentato i dati contenuti nel Rapporto Ispra «Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici» presentato tre giorni fa a Roma.

Il quadro che emerge dal Rapporto è quello di un consumo di suolo che continua a crescere, nonostante la crisi economica. Tra nuove infrastrutture e cantieri (che da soli coprono più di tremila ettari), si invadono aree protette e a pericolosità idrogeologica, sconfinando anche all’interno di aree vincolate per la tutela del paesaggio – coste, fiumi, laghi, vulcani e montagne – soprattutto lungo la fascia costiera e i corpi idrici, dove il cemento ricopre ormai più di 350 mila ettari, circa l’8% della loro estensione totale (dato persino superiore a quello nazionale di 7,65%).
Quasi un quarto (il 24,61%) del nuovo consumo di suolo netto tra il 2016 e il 2017, avviene all’interno di aree soggette a vincoli paesaggistici. A farne le spese anche il territorio del Parco nazionale dei Monti Sibillini, con oltre 24 ettari di territorio consumato, e del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, con altrettanti ettari di territorio impermeabilizzati, in gran parte dovuti a costruzioni e opere successive ai fenomeni sismici del Centro Italia e realizzate anche in deroga alle normative di tutela fissate per le aree naturali protette. L’esempio più calzante di questo fenomeno è quanto sta avvenendo nella piana di Castelluccio, dove non si ricostruiscono le case distrutte del terremoto, ma si realizza un centro commerciale in uno dei luoghi simbolo della natura italiana ed europea.

Un problema, quello del consumo di natura, che fu già evidenziato nel Report «Caring for our soil – Avere cura della natura dei territori», realizzato nel 2017 dal Wwf Italia con il contributo di 27 tra docenti di varie Università italiane (Camerino, Firenze, L’Aquila, Roma Tre, Tuscia), esperti di Istituti di Ricerca (Ispra e Istat), rappresentanti di Istituzioni (Commissione Europea). Ne emergeva una lettura analitica di ciò che sta avvenendo nel nostro Paese: da un lato la polverizzazione dell’edificato, a bassa densità, in aree molto vaste (sprinkling), facilitata dallo squilibrio in favore della mobilità su gomma, dall’altro l’insularizzazione degli habitat naturali più preziosi del nostro Paese: nella fascia di 1 km in adiacenza a siti di interesse comunitario della Rete Natura2000, negli ultimi 50 anni, l’urbanizzazione è salita da 84mila a 300mila ettari, con un incremento medio su scala nazionale del 260%, dilapidando così il nostro capitale naturale.

Peraltro questo consumo scriteriato colpisce anche le aree a maggior rischio sismico: negli ultimi 50 anni nei comuni della dorsale appenninica localizzati in queste aree (sono 1.750 i comuni che sorgono nelle zone classificate 1 e 2, il 22% del totale dei comuni italiani), l’espansione urbana è andata avanti a un ritmo del 3% l’anno, occupando nuove aree per un totale di circa 2.200 km2 (pari all’attuale superficie urbanizzata dell’Emilia-Romagna). Tutti dati che avrebbero dovuto spingere il legislatore ad affrontare con decisione la materia. Purtroppo, invece, il disegno di legge sul «Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato» nella passata legislatura, dopo essere stato approvato nel 2016 alla Camera, si è bloccato al Senato: è necessario riprendere il lavoro interrotto e, considerate anche le significative convergenze politiche sul tema, giungere ad una normativa efficace (possibilmente, prima che non vi sia più nulla da salvare).

* vicepresidente nazionale Wwf

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