Formalmente, le frontiere tra Italia e Svizzera non saranno chiuse. I frontalieri e persino gli sciatori potranno attraversare le frontiere. Solo, a partire da giovedì, a chi arriva in Italia sarà richiesto l’esito negativo di un tampone realizzato nelle ultime 48 ore, pena la quarantena per quattordici giorni. Il punto è che non ci saranno i treni: soppressi quelli a lunga percorrenza e pure i regionali che scarrozzano studenti e lavoratori da una parte all’altra delle frontiere. Se ne salverà solo uno, il locale che da Brig porta a Domodossola e viceversa.

Le ferrovie svizzere ieri hanno annunciato la decisione perché non sono in grado di far rispettare le misure anti-Covid prese dall’Italia. Sullo sfondo, rimane la questione della disparità nelle strategie messe in campo: più blande quelle elvetiche rispetto agli italiani. L’impressione è che al governo Conte il blocco sostanziale della possibilità di spostarsi nelle vacanze di Natale non dispiaccia più di tanto, visto che la Svizzera è l’unico paese a mantenere aperte le stazioni sciistiche e le immagini degli assembramenti per montare sulle funivie, domenica scorsa, sono arrivate fino in Italia. Il problema più grande ce l’hanno i 75 mila frontalieri che ogni mattina dalla Lombardia vanno a lavorare in Ticino. Senza treno saranno costretti a ingolfarsi in auto su strade e autostrade.

A gettare benzina sul fuoco ci ha pensato, domenica mattina, un editoriale del Mattino della domenica, l’house organ della Lega dei ticinesi che sotto la testatina porta la scritta «padroni in casa nostra». «In marzo il Ticino si è impestato a causa dei confini spalancati con l’Italia», ha scritto il direttore Lorenzo Quadri scatenando le polemiche e tacendo sul fatto che, oggi, il tasso di